venerdì 31 agosto 2012

Tiziano chi?


Purtroppo è successo.

Luca, con i suoi sogni improbabili mi aveva quasi illuso e io ci sono cascata. Ho calcolato che con quel fondo di struccante sarei arrivata a metà settimana, quando secondo i calcoli del guerriero saremmo partiti, e oggi che è venerdì sono rimasta fregata.

Risultato: oggi siamo dovuti tornare al supermercato per comprare le salviette. Lo so che non funzionano bene come i dischetti e la crema ma avete già provato a mettere in stiva i tubetti? Quando, una volta a terra, li apri, l’intero contenuto si riversa all’esterno senza che tu possa fare niente. Una lava bianca incontenibile. Avrei rischiato di portare a casa una confezione semi-nuova per vederla finire tutta in un lampo nel lavandino. Quindi, vada per le salviette.

Quindi andiamo al supermercato e quando ormai siamo in prossimità del reparto “cosmesi” ci blocchiamo di colpo (tranne la Dani che non essendo capace di starci vicino anche nei luoghi più affollati era già praticamente alle casse).

Io e Luca ci guardiamo come per dire “senti anche tu quello che sento io?” ma in questo caso non ci si riferiva ai nostri sentimenti (anche perché altrimenti avremmo tenuto un certo riserbo!). Insomma “Stai ascoltando la stessa musica o ce l’ho solamente io nel mio cervello tanta è la nostalgia di casa?” – “No, no! Questa volta la nostalgia non c’entra niente. La canzone è inconfondibile. È proprio quella!” – “Cara, non è che invece che al supermercato ci troviamo sul pullman della gita sulla neve organizzata dalla parrocchia?” – “Ma no! Ecco, vedi, quelle sono salviette struccanti. Non c’è dubbio: siamo in Colombia, a Bogotà, fino a prova contraria, per quanto ce l’abbiano messa tutta per farci andare fuori di testa, siamo ancora abbastanza lucidi, e in questo momento siamo in un supermercato della maison Carulla” – “E che cacchio ci fa in un supermercato Carulla la canzone LA ME MOROSA VECIA???”.

Riuscite a immaginare la scena? Noi che guardiamo il soffitto da dove sembra che le note arrivino e che ci mettiamo a cantare “La me moro-osa vecia la li la la, l’ha messo su-u botega la li la la, de tuto la vendeva, de tuto la vendeva. La me moro-osa vecia la li la la, la tegno de-riserva la li la la, ecc ecc… fino al polenta e ba-acalà e perché non m’a-ami più, Rosina!” con le señoras colombianas che attorno a noi facevano la spesa ignare di ciò che stava accadendo.

Se in ascolto c’è qualche amico che era con noi quella volta, è come la canzone di Pupo nel baretto sperduto in non so più quale paesino in Romania. Ve lo ricordate???

Il bello è che durante il tragitto fatto domenica per andare a Villa de Leyva, Luca, oltre a fare il verso della pecora e a scambiare un cimitero per un centro congressi, si è avventurato a parlare con Ignacio anche di musica.

Ignacio, quale es el cantante italiano mas famoso aqui?” – “Pavarotti” – “Ehm. Ma Pavarotti esta muy muerto. Uno vivo?” – “Ramazzotti es mas duro (non gli abbiamo chiesto spiegazioni sul significato, non ne abbiamo avuto il coraggio. Ndr)” – “Y Laura Pausini?” – “Si, si esta bien Laura tambien” – “Y Tiziano Ferro?” – “Tiziano chi?”.

Eh, caro Ignacio, potevi anche dircelo che nella top ten colombiana ci stava anche “La me morosa vecia”.

Ti assicuro che avremmo capito benissimo che è mille volte preferibile a Tiziano Ferro!
 

Besos,
I Longo

 

Post Scriptum telegrafico: stamattina abbiamo portato Alexander da Norberto para cortar el pelo. Siamo certi che se l’avessimo scotennato avrebbe urlato meno, ma alla fine il risultato ci piace moltissimo!

Per quelli che amano approfondire, ecco il link in cui vedere Norberto (abbiamo scoperto che esiste davvero). La sganasciata è assicurata: http://www.norbertopeluqueria.com/norberto.html)
 




 

giovedì 30 agosto 2012

Gracias mamita


Nel giorno in cui abbiamo finalmente ottenuto il visto per far entrare Alexander in Italia, cioè l’ultimissima incombenza prima di partire, abbiamo ricevuto la visita di Andrea, l’abogada aiutante di Olga, e di Joanna, la psicologa di Aibi che ha studiato il caso di Ale.

La loro visita non è giunta inaspettata, anzi, a dire la verità era stata annunciata un paio di settimane fa ma finora non se n’era fatto nulla. E quindi erano due settimane che fremevamo in attesa dell’incontro, non tanto per l’incontro in sé (beh, per Luca rivedere Andrea poteva già essere un buon motivo per fremere!), ma perché ci avevano preannunciato che la famiglia con cui Ale ha vissuto fino a due mesi fa ci aveva preparato un dvd di immagini del periodo passato insieme.

Chi è un genitore adottivo sa di cosa stiamo parlando. Se incontri tuo figlio quando lui ha un anno ti sei perso un anno della sua vita. Al di là di poche informazioni che ti danno, non sai com’era, cosa faceva, con chi stava, dove si trovava ecc. Se incontri tuo figlio quando ha cinque anni ti sei perso cinque anni della sua vita e difficilmente potrai recuperarli.

È vero, quel che conta sono gli anni che passi insieme a lui. Più del passato in questo caso contano il presente e soprattutto il futuro.

Il compito del genitore adottivo è quello di rendere saldo ciò che di bello viene dal passato cercando di far superare nel modo più indolore possibile ciò che invece è negativo.

Resta però il fatto che di solito si hanno pochissime informazioni su ciò che i nostri figli sono stati in nostra assenza.

Noi oggi abbiamo avuto la fortuna di colmare un po’ il vuoto che abbiamo nei confronti dei primi tredici mesi di Alexander.

La nostra è una grande fortuna perché Alexander è stato fortunato a sua volta. E ciò è evidente dalle immagini contenute in quel dvd.

Foto e video ci mostrano un Alexander piccolissimo (e bruttino, dobbiamo dirlo!) amato e coccolato al di là di ogni aspettativa.

Nel vedere che in famiglia c’erano altri bimbi più grandi che lo spupazzavano, la Dani ha dato segni di comprensibile gelosia e ha cominciato a dire “Tanto adesso è tutto mio!” – “Beh, non era loro fratello” – “Io sono più bella di quel bambino lì, vero?”. Beata innocenza!

I sentimenti di mamma e papà invece sono di tipo diverso e si possono riassumere nel termine “riconoscenza”.

Riconoscenza eterna a quelle persone che hanno deciso di prendersi cura di un bimbo senza che fosse loro, che hanno sicuramente fatto di tutto per dargli il maggior affetto possibile, il più vicino a quello di una mamma e di un papà pur senza esserlo. Riconoscenza perché fin da subito è stato evidente che ce l’hanno messa proprio tutta senza che nessuno glielo chiedesse.

Qui infatti, le famiglie affidatarie ricevono un compenso dallo Stato per occuparsi dei piccoli in attesa di una famiglia “vera” e spesso capita che questo venga preso come un vero e proprio lavoro investendo il minimo dello sforzo.

Alexander invece ha ricevuto amore fin dal suo primo anno di vita. E non è cosa da poco, visto e considerato che milioni di bimbi devono aspettare ben di più per averne anche solo una parvenza.

Dunque, grazie. Grazie “mamita” che ti sei presa cura del nostro piccolo pur sapendo che un giorno l’avresti visto andar via per sempre. Le foto più commoventi sono quelle in cui Ale viene preparato per andare a Neiva, dove poche ore dopo avrebbe incontrato noi. Gli ultimi momenti da “non figlio” di nostro figlio.

Prima che il miracolo si compisse.

 
Besos,
I Longo




 

mercoledì 29 agosto 2012

Perle


In quasi due mesi di permanenza in Colombia abbiamo avuto modo, nostro malgrado, di conoscere diverse famiglie adottive provenienti da vari paesi d’Europa.

Tralasciamo per ovvie ragioni linguistiche quelle di nazionalità spagnola, che naturalmente non hanno alcun tipo di problema a interagire con i loro “nuovi” figli o con le tante persone che inevitabilmente incontri per portare a termine la procedura adottiva.
 
Su tutte spiccano per ignoranza, nel senso buono del termine, cioè della lingua spagnola, i francesi, la cui conoscenza dell’idioma locale è di fatto nulla. E questo perché i cugini transalpini non si applicano nel modo più assoluto e per loro anche un semplice “buenos dias” o “gracias” è un qualcosa di assolutamente irraggiungibile.

Al secondo posto si trovano i tedeschi. La durezza della loro lingua mal si sposa con la dolcezza e il senso di trascinamento dello spagnolo-colombiano e ogni cosa che dicono sembra un ordine. Al terzo si classificano gli americani, i quali credono che tutti, in qualunque parte del mondo, sappiano l’inglese e si ostinano a parlarlo anche con i loro figli convinti che perché magari hanno fatto uno o due anni di scuola devono saperlo a ogni costo. Ma spiegaglielo tu che uno o due anni di scuola qui, non corrisponde a un biennio di Harvard.

Agli italiani, invece, la buona volontà certo non manca; i risultati, però, sono spesso discutibili, soprattutto perché molti sono imperterriti sostenitori del luogo comune che per parlare spagnolo basta semplicemente aggiungere alle parole la “s” finale e il gioco è fatto.

Le perle, quindi, si sprecano, a danno soprattutto dei figli che tra il perplesso e l’incredulo si domandano che cosa mai stia dicendo mamma o che diavolo di lingua parla papà.

Qui di seguito riportiamo alcune delle frasi, degne di Totò, sentite in questi nostri due mesi in Colombia.

"Recuerda: despues che hai tomato la clave, regresala a papà!"

"Te gusta la comida?" - "Sì, es muy bonita" (bonita? Ma mamma bonita non si dice delle cose da mangiare, per queste si dice rica. Bonita es una mujer!).

"Sebastian, porquè non coma, como, come, comi?" Insomma come diavolo si dice “Perché non mangi?"

"Carmenza, se puede un poquito de Harrods?" - "De que, seňora?" - "Di riso!" -"Ah, de arròz…"

"Seňora, le gustan papas?" - "Sì, muchos, papas e tambien mamas… " - "Seňora, papas son le patate!?!"

"Seňora, el su nombre? " - "No, no, niente nombre, soy solita…" - "Seňora, no hombre, nombre!"
 
"Carmenza, me regala una cabeza?" - "Una cabeza?!?" - "Sì, una birra..." - "Ah, una cerveza!"
 
Una famiglia svizzera al ristorante dopo aver letto sul menù “perro caliente”: “De che raza es el perro?” Risposta: “De che raza es el perro? Perro caliente es un hot dog!”.

 
Naturalmente, per conservare un po’ di dignità abbiamo evitato di trascrivere le innumerevoli gaffe capitate a noi. Tanto ormai è chiaro a tutti che il nostro spagnolo è al livello minimo di sopravvivenza!
 

Besos,
I Longo

 

PS: dopo aver scritto le cavolate qui sopra, a fine giornata è arrivata una notizia che ci ha lasciato la morte nel cuore.
Vi ricordate il tribunale numero 4 di Neiva? Quello che era meglio evitare? Ecco, quel giudice oggi ha rifiutato di dichiarare J. figlia di B. e N. I motivi non sono chiari ma le conseguenze sì: tutto da rifare e panico alle stelle.
Sembra che quel giudice non veda di buon occhio l’istituzione dell’adozione e che faccia di tutto per ostacolare le coppie. Oggi piangevamo tutti insieme a questi genitori che nel cuore sono a tutti gli effetti mamma e papà di una bambolina di un anno e mezzo ma che burocraticamente non lo sono (ancora). Davanti a loro ci sono diverse strade: rinunciare alla piccola (no comment), fare ricorso (cioè come minimo altri sei mesi di permanenza in Colombia), ritirare la domanda e ripresentarla sperando di capitare in un altro tribunale (cioè ricominciare tutto daccapo sperando nel buon cuore del nuovo giudice, il che è tutto dire!).
Oltre a tutto ciò che la situazione comporta, c’è da pensare al primo figlio di cinque anni, che di sicuro farà molta fatica a capire la situazione, e alla vita che comunque deve andare avanti. Ed è così che B. e N. devono anche prendere la triste decisione di far tornare un genitore col primogenito in Italia, lasciando l’altro qui con la piccola. Oggi J., che per quanto piccola ha intuito l’angoscia dei suoi genitori, non si staccava mai dalla mamma.
Abbiamo suggerito di scattarle una foto e di mandarla a quel figlio di buona donna colombiana del giudice. Forse capirebbe veramente cos’è questa cosa chiamata “adozione”.

martedì 28 agosto 2012

La forma dei sogni

Al di là di ogni previsione, siamo riusciti a festeggiare il nostro anniversario in Colombia.

Ovviamente per molti versi avremmo voluto essere in un posto romantico, magari sul Lago, o a casa nostra a preparare una cena a base di pesce, ma forse è stato un segno che dovessimo festeggiare qui dove abbiamo realizzato i nostri sogni più grandi.

E così abbiamo dovuto pensare a come passare una giornata così importante.

La più creativa è stata la Dani: “Ah! Oggi è un giorno importante?” – “Sì tesoro” – “Allora posso mettermi il rossetto?!”.

Anzi, a ben pensare il più originale è stato Luca che ha vinto le proprie remore e ha deciso (finalmente!) di andare da Norberto, famoso parrucchiere di Bogotà. Per dare un’idea della sua fama e della gente che lo frequenta basta passare davanti al parquedero riservato ai suoi clienti. A parte le macchine che vi si trovano, diciamo solamente che oggi a vigilare c’erano due soldati con tanto di mitra.

Del señor Norberto non sappiamo assolutamente nulla (nemmeno se esiste davvero) tranne che il suo nome campeggia su un palazzo molto chiccoso di tre piani, interamente occupato da saloni di bellezza per donne, uomini e bambini. In quel luogo ci lavorano ben 250 (duecentocinquanta!) ragazzi che hanno tra le più svariate mansioni: parrucchieri naturalmente, lavateste, spazzatrici, truccatori, manicuristi, preparatori di caffè, intrattenitori e comparse. Per uno che lavora, infatti, ce ne sono almeno tre che se ne stanno seduti ad aspettare che qualcuno abbia bisogno di loro. Il ragazzo che ha servito Luca gli ha chiesto “Una struttura così in Italia sarebbe grande o piccola?” – “Beh, considerando che il negozio della mia parrucchiera è grande come lo sgabuzzino dove voi mettete le scope…”

Luca si è fatto convincere ad entrarci solamente per due motivi: la palazzina si trova a pochi metri dal Portal e la lunghezza dei suoi capelli si stava facendo ogni giorno più ingestibile. E così stamattina si è deciso e ha dovuto ammettere di aver fatto la mossa giusta. Anche la Dani e la mamma ringraziano per l’ottima scelta: la Dani perché così si è fatta più di un giro sulle poltrone vibranti destinate ai figli irrequieti dei clienti e la mamma perché si è vista servire un ottimo tè finché aspettava paziente. Per la verità si è pentita un po’ di essere stata troppo impulsiva nel rispondere “no” alla raffica di domande “quere una manicure, pedicure, taglio, tinta, massaggio, trucco…”, della serie “la vediamo un tantino sciupata e secondo noi avrebbe bisogno di tutto questo per poter cominciare a essere presentabile”.

E così Luca è uscito da quel covo di modaioli con un bel taglio nuovo nuovo, pronto per la nostra cenetta romantica.

Oddio, romantica…!

Per la verità è stata un cenetta collettiva che di romantico aveva gran poco ma che ci ha dato molte soddisfazioni.

La cosa è iniziata così: ieri sera a cena abbiamo annunciato alle altre famiglie che oggi ci sarebbe stata la torta per festeggiare i nostri tredici anni. L’idea era quella di comprare un dolce ma a dirla tutta i dolci colombiani fanno proprio schifo. Troppo dolci, troppo colorati, troppo sciropposi, insomma a volte davvero immangiabili. E così è nata l’idea di arrangiarci e di tentare una produzione in collaborazione tra le mamme presenti in questo momento: veronese, vigevanese e vicentina, nell’ordine, cinquanta, quaranta e trenta giorni di permanenza in Colombia, giorno più giorno meno, giusto per fare una classifica di stress psicologico. Insomma, tutte eravamo alla disperata ricerca di qualcosa da fare per passare un pomeriggio diverso e abbiamo deciso di buttarci sul training culinario.

Dalla torta al risotto il passo è stato breve. Ed è così che ci siamo ritrovate a passare più di quattro ore in cucina per fare un risotto alle zucchine e una crostata alla frutta per quindici persone.

Lo ammetto subito così non creo aspettative inutili: entrambi avrebbero avuto ampi margini di miglioramento, anzi, il riso era quasi immangiabile e la torta era tendente al secco incendiato, però il pomeriggio è stato bellissimo e la cena ha portato non poco umorismo tra i presenti.

La parte più bella è stata la lunga chiacchierata in un misto di italiano e spagnolo tra noi e Carmenza. La parte più drammatica quando Carmenza ha tirato fuori un libro illustrato di ricette italiane. Quando è arrivata alle trenette al pesto avevamo le lacrime agli occhi. L’estate intera è passata senza che potessimo mangiarle nemmeno una volta! È una cosa atroce!

Insomma, oggi, il romanticismo era davvero alle stelle (!) e nessuno ha sentito la mancanza del Lago o della cena di pesce.

Oddio, della cena di pesce forse sì, ma non del Lago. È vero:  come per la metà dei veronesi tanti dei nostri sogni sono nati durante le mille passeggiate sul Garda, ma è qui in Colombia che hanno preso forma. La meravigliosa forma dei nostri figli.

 
Besos,
I Longo








lunedì 27 agosto 2012

In viaggio con Beckam


Oggi è stata una giornata burocraticamente inutile.

O meglio, essendo in attesa dell’ok da parte dell’organismo italiano preposto (la Cai – Commissione adozioni internazionali – che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), oggi nulla abbiamo potuto per accelerare i tempi dell’espletamento dei documenti. In pratica un giorno perso.

In realtà si spera che qualcuno abbia lavorato per noi ma in questo periodo ci dicono che in Italia il caldo faccia andare tutti al rallentatore e questo non giova molto alla nostra situazione. Se per caso tra i nostri assidui lettori, ma anche tra i non assidui, c’è qualcuno che si offre di andare a dare una scrollatina…

Dato che qui invece dei vostri 40° ne abbiamo sì e no una dozzina, siamo molto attivi e sentiamo una certa smania di agire e non potendo ammazzare nessuno, ammazziamo il tempo andando per parchi e per uffici.

Oggi toccavano gli uffici dell’Air France.

I nonni sanno che Luca da qualche giorno si è fatto convinto che a metà settimana riusciremo a levare le ancore da questo mare magnum colombiano. Peccato che questa convinzione non sia basata su nessunissimo dato oggettivo ma che esista solamente nei suoi sogni.

Fatto sta, comunque, che stamattina, con questa convinzione ci siamo diretti all’Air France de Bogotà per vedere se il sogno di Luca si può realizzare.

Dato che dalla nostra agenzia di Milano non stanno arrivando notizie confortanti del tipo “signori Longo si sono liberati giusto giusto tre posti (l’infante non ha diritto a un posto sull’aereo) alla stessa tariffa da strozzini che avete pagato finora quindi potete partire già giovedì”, siamo andati direttamente alla fonte, cioè da quelli che si inventano le tariffe da strozzini.

Bene, gli strozzini hanno la sede nel palazzo in cui si trovano anche quelli dei servizi segreti colombiani. O almeno così sembra perché prima di poter accedere agli ascensori che stanno esattamente a tre metri dal portoncino d’entrata abbiamo dovuto superare un posto di blocco degno del Pentagono.

Impronte digitali e foto (senza occhiali per l’occhialuto) di papà e mamma, nomi e data di nascita dei minorenni con firma dei genitori ad attestarle. Quando ci hanno fatto passare attraverso la barriera che ci chiedeva le impronte appena registrate elettronicamente ci siamo rimasti male: ma come? Non ci perquisite???

Naturalmente non siamo saliti al quinto piano da soli, metti che abbiamo dichiarato di dover andare all’Air France e invece ci imboschiamo nelle scale antincendio e attendiamo la notte per uscire allo scoperto e fare un macello tra gli uffici del palazzo. È scesa una gentilissima signorina con tanto di cartellino tutto francese che ci ha scortato fino alla destinazione dichiarata. Destinazione che si trovava al di là di una porta trasparente fatta da quattro lastre di vetro di mezzo centimetro ciascuno. Giusto per non sbagliarci.

E così abbiamo dovuto abbandonare l’idea dell’attentato; abbiamo finto di avere una prenotazione per il 4 settembre e di voler anticipare il nostro rientro. Ma dobbiamo aver bluffato male perché la signora al desk ha smacchinato un bel po’ sul suo pc e alla fine ci ha detto con un sorriso che ci è sembrato beffardo: “no tiengo cupo, disculpe (non ho posti, mi dispiace)”.

Quando ha visto le nostre facce incredule ha aggiunto che se proprio insistevamo controllava meglio. E noi “si no es massa disturbo…”

Alla fine ha assunto uno sguardo trionfante e ha esclamato “tiengo!”. Urrà!

La señora teneva tre posti per il primo di settembre. Non male!

Pero non es nella misma vuestra classe. Es la mas alta classe che existe”. Insomma intendeva dire che era la classe che hanno creato appositamente per Berlusconi o Bill Gates perché solo così si può spiegare qualcosa come 4.000 euro cadauno in più rispetto a quanto già pagato a maggio e a quanto aggiunto la settimana scorsa per anticipare al 4 settembre.

Abbiamo guardato la señora e le abbiamo sorriso. Non abbiamo aggiunto altro però abbiamo capito tutte quelle forme di sicurezza. Ci vuole del coraggio a fare certe proposte e si può capire che a qualcuno venga la mosca al naso e gli venga voglia di fare una mattana.

Tornati tra i comuni mortali, ovviamente dopo aver lasciato di nuovo le nostre impronte alla barriera e aver posto l’ennesima firma come per rassicurarli che da lì saremmo veramente usciti (e chi ce resta?), abbiamo cominciato a porci delle domande.

Ma cosa ti offrono per 12.000 euro + il già versato per un totale di quasi 16.000 euro (solo per il rientro si intende)???

Secondo Luca ti danno un letto matrimoniale mentre io mi aspetterei un omino che ogni mezz’ora viene a farti un massaggio al collo. Di sicuro lo champagne scorrerebbe a fiumi, i bicchieri sarebbero di cristallo e ti offrirebbero il caviale al posto dei cubi di carne con quella cremina orripilante. Ci sarebbe la sauna e qualcuno ti farebbe barba, capelli e manicure giusto per far sembrare il viaggio meno lungo. Ovviamente i film sarebbero in 3D e forse ci sarebbe qualcuno che suona il violino solamente per te per tutto il viaggio.

Poi Luca se ne esce e dice “potresti pure trovarti a viaggiare vicino a David Beckam” e allora a quel punto una il pensierino di tornare in quel bunker per fare il cambio di prenotazione lo fa, eccome se lo fa!

Ma Luca mi ha bloccato e non l’abbiamo fatto. Così Beckam farà Bogotà – Parigi da solo. Poverino!

 

Besos,
I Longo

domenica 26 agosto 2012

Il "pollice su" dell'esercito


Oggi abbiamo aggiunto un altro pezzo di Colombia da portare nel nostro cuore.

Abbiamo fatto una pazzia e ci siamo fatti accompagnare a Villa de Leyva, paesino a tre ore di macchina a nord di Bogotà. Tra parentesi, dato che il dislivello è di circa 700 metri abbiamo fatto su e giù per le montagne per un totale di sei ore e i bimbi non hanno mancato di manifestare abbastanza platealmente il loro mal di macchina.

Oltre al su e giù, però, in queste sei ore abbiamo avuto un’occasione imperdibile per poter assimilare chilometri e chilometri di paesaggi colombiani.

Mille sfumature di verde, prati, boschi, campi coltivati a patate o mais, animali, banchi di artigianato e tiendas dove fare uno spuntino, mezzi di trasporto tra i più improbabili e persone. Persone con il poncho, con i sombreros e a cavallo senza sella, oppure in tre su una moto.

La cosa più frustrante del viaggio è stata quella di non riuscire a immortalare tutto. Cercare di fotografare, che so, un anziano a bordo strada e riuscire a beccare solo la strada. Ma tutto quello che abbiamo visto oggi rimarrà comunque con noi.

Anche le chicche che si sono dette durante il viaggio saranno difficili da dimenticare. Alcuni esempi meritano:

 
Daniela: “Ma perché Ignacio (l’autista, ndr) non capisce quello che dico?”
Mamma: “Ma perché non tutti sanno l’italiano, anzi, noi crediamo di essere al centro del mondo ma in realtà l’Italia è una punta di spillo”
Daniela: “Ma non era uno stivale???”

 

Un insegnamento di vita per tutti gli amici, direttamente dall’hombre de vida Ignacio:
Luca: “Ignacio, quale es la mejor cerveza de Colombia? Poker, Club Colombia o Aguila?”
Ignacio: “Club Colombia es la mejor ma non impuerta. Quel que es importante es che cerveza fria – mujer caliente!”
Luca: “Ah, ok. Terrò presente. Gracias Ignacio!”

 

Parlando di cucina colombiana.
Ignacio: “Aqui en Colombia se come todos los tipos de carne
Luca: “In Italia tambien
Ignacio: “Ma en Italia se come el cochillo tambien?”
Luca: “El que?”
E Ignacio giù a fare il verso del maiale
Luca: “Ah si! Si! Se come. Se come anche el… el… ehm… como se dize…” e giù a fare il verso dell’agnello.
E Chiara dietro che non riusciva più a respirare per il cocone che le è preso.

Alle porte di Bogotà vediamo una struttura molto elegante, sembrava addirittura un castello.
Chiara: "Que es esto edificio?"
Luca: "Sarà un centro congressi. Ne ha tutta l'aria"
Ignacio: "Señor Luca, esto es un cimiterio..."
Chiara definitivamente capottata. 

Durante il viaggio ci siamo fermati due volte in un baracchino di vivande, una volta per l’arepa con queso, una specie di tortino di mais ripieno di formaggio fumante, buonissimo; al ritorno invece Luca ha voluto riassaporare la meravigliosa mazorca asada, la pannocchia abbrustolita e passata nel burro salato, divina!

Dopo tre ore, dicevamo, siamo arrivati a Villa de Leyva, meta di tantissimi colombiani, soprattutto bogotani, che nel fine settimana si trasferiscono qui dove il clima è migliore e il posto è incantevole.

Si tratta di un pueblo, che potremmo tradurre con “villaggio”, di sole casette coloniali bianche con gli infissi verde scuro. Ogni tanto si apre un portone oltre il quale c’è un patio su cui si affacciano minuscoli negozietti di artigianato o ristorantini tipici, uno più bello dell’altro.

Il cuore del pueblo è l’immensa piazza campeggiata dalla chiesa parrocchiale, bianco candido pure questa, e interrotta al centro da una fontana quasi invisibile.

Abbiamo passeggiato per quelle viuzze per più di due ore, con una tranquillità degna di un vero turista e abbiamo fatto anche qualche spesuccia, tirando sempre sul prezzo ovviamente.

Se proprio dobbiamo trovare qualcosa da ridire, è sull’acciottolato che ricopre tutte, dico tutte, le strade del paese. Non abbiamo nemmeno provato ad aprire il passeggino perché è stato subito evidente che saremmo arrivati a dare il peggio di noi quando per l’ennesima volta si fosse impigliato tra un sasso e l’altro!

Dicevamo, oggi ci siamo sentiti dei veri e propri turisti: tranquilli, sereni, disposti a spendere (entro certi limiti!), felici di trovarci dove ci trovavamo e benvisti dall’esercito nazionale de Colombia.

Beh, condizione questa non proprio necessaria per sentirsi un vero turista, direte voi. E invece sì!

Ne abbiamo avuto la prova dopo mezz’ora di macchina.

Arriviamo nei pressi di un belvedere da cui si vedeva un paesaggio mozzafiato e dal momento che la mamma era seduta sul sedile posteriore con un figlio addormentato in braccio e le gambe della figlia addormentata sopra il figlio addormentato, è sceso solamente il papà per fare una foto.

Non appena abbiamo ripreso la strada ci siamo trovati a un posto di blocco con alcuni soldati a sorvegliare il passaggio delle macchine. Vediamo il primo soldato fare il pollice su come per dire “ok amigo!” a Ignacio; il secondo fa lo stesso e così fino all’ultimo della fila. Nel frattempo Ignacio aveva risposto allo stesso modo a tutti i soldati. Al secondo posto di blocco succede la stessa cosa e allora realizziamo che Ignacio non può conoscere tutti i soldati della Colombia e che quel gesto probabilmente significa qualcos’altro.

Glielo chiediamo e lui ci risponde “Oh, l’esercito capisce subito quando una macchina trasporta turisti e fa quel gesto per dire bravi che portate plata (denaro, soldi, schei) al nostro Paese!”

Come non sentirsi dei veri turisti dopo aver passato almeno una decina di posti di blocco in sei ore di viaggio? Alla fine facevamo il gesto pure noi, come per dire “E bravi soldatini che ve la ridete mentre il vostro Paese ci spreme come limoni!”. Ma va bene così. Alla fine della fiera ne sarà senz’altro valsa la pena.

 

Besos,
I Longo
















sabato 25 agosto 2012

Quella valigia in più


La valigia che abbiamo comprato oggi significa già casa.

Dal momento che in cinquanta e passa giorni e con un figlio in più, per quanto ci si sforzi, di cose se ne comprano, siamo stati costretti a prendere un trolley medio formato per riuscire a portare a casa tutto.

Lo sforzo che dovremo fare adesso è di non esagerare con le compere. Per intenderci occorrono calcoli statistici di un certo livello per arrivare al giorno “X” con tubetti di dentifricio, barattolini di struccante, flaconi di shampoo terminati perché l’arte della “valigia perfetta” non prevede che si portino pesi inutili al check-in.

Qui, però, si è creata davvero una bellissima usanza: le famiglie che se ne vanno e che non sono in grado di attenersi alla regola aurea del “finire tutto nel giorno esatto in cui si parte”, lasciano i residui a chi resta. Questo in nome della solidarietà che inevitabilmente si viene a creare tra chi spartisce le stesse gioie e gli stessi dolori. E così si spartiscono anche gallette, succhi di frutta, detersivi e pannolini.

Oggi Micaela, la mamma svizzera, per esempio, ci ha regalato (abbiamo insistito inutilmente per pagarglieli) una confezione nuova nuova di Huggies della misura che solamente la sua Diana e il nostro Ale usano, cioè i micro.

Sicuramente a qualcuno dei genitori che sono passati di qui è venuto in mente di lasciare in eredità qualche figlio ma finora non è ancora successo.

Nel nostro caso, si tratterà eventualmente di lasciare un po’ di latte in polvere dato che i barattoloni in cui te lo vendono sono talmente grandi che difficilmente ci staranno nelle cappelliere per il bagaglio a mano, sempre che riusciamo a farli passare al controllo antidroga!

In ogni caso, dicevamo, è ora di fare i calcoli della schiuma da barba per non doverne comprare un barattolo nuovo: quei 50 gr possono fare la differenza al check-in!

E stiamo facendo i calcoli perché non manca molto al nostro rientro. Preferiamo dire così piuttosto che dire “manca poco”; suona un po’ meno carico di aspettative.

Quando si è trattato di decidere una data fittizia per il rientro (altrimenti non ci avrebbero fatto il visto all’ambasciata colombiana) ci era stato suggerito di fare il biglietto per il 10 settembre. Finora, però, non è mai capitato che qualcuno c’abbia azzeccato e tutti hanno dovuto variare la data. Nei giorni scorsi, dopo aver firmato la sentenza, l’abbiamo anticipato alla prima data disponibile: il 4 settembre.

Sembra, infatti, che tutti i colombiani che vivono in Europa (diverse migliaia) in questo periodo rientrino dopo aver passato l’estate nel Paese d’origine ed è così che non ci sono più posti disponibili per i poveri cristi che in Colombia ci vengono per prendersi i figli. O per lo meno, i posti ci sono, ma a prezzo iniziale triplicato!

Ogni giorno l’agenzia che ce li ha forniti ci aggiorna sulle possibilità che abbiamo di anticipare ancora di un po’ il rientro ma finora: nada.

Immagino quindi che capirete il dramma che i Longo stanno vivendo in questi giorni: se si parte il 4 il dentifricio è della quantità perfetta, tre volte al giorno per due adulti, più quello dei bimbi, a ognuno il suo a seconda dell’età. I tubetti sono assolutamente sotto controllo. Se invece ci anticipano, metti di un paio di giorni, a chi li daremo? Magari gli ospiti che ci saranno in quel momento non avranno i nostri stessi gusti e invece che alla menta lo preferiscono alle erbe.

Non ci resta che confidare nella capienza della nuova valigia!

 

Besos,
I Longo

 

Nota per i nonni Annalisa e Zeno: scusate ma oggi ci siamo dimenticavi di farvi gli auguri per l’anniversario!!! Ci è venuto in mente appena dopo che ci siamo salutati su Skype. Auguri in ritardo!

Nota per tutti i nonni: domani mattina partiamo prestissimo per andare a vedere un paesino coloniale a qualche ora di macchina da Bogotà quindi non ci si potrà sentire. Rimandiamo a lunedì? Intanto buona domenica (l’ultima senza di noi? Boh!) e a presto!

venerdì 24 agosto 2012

Listo!


Dopo la telefonata, garbata ma decisa, fatta ieri pomeriggio da Chiara all’avvocato, questa mattina, i Longo al gran completo sono stati in giro per uffici. Prima tappa alla sede nazionale dell’ICBF per la cosiddetta conformidad, un documento apparentemente banale e di facile realizzazione ma in realtà importantissimo che attesta che l’adozione si è svolta nel pieno rispetto delle leggi italiane e colombiane secondo quanto ratificato dalla Convenzione dell’Aja.

Chiara e i piccoli hanno aspettato in macchina, il guerriero, invece, con la prode Janeth è salito al secondo piano di un immenso edificio per apporre la sua nobile firma sul documento di cui sopra.

Tempo per compiere il tutto: venti minuti. Tempo per raggiungere la sede dell’ICBF: un’ora abbondante, perché il traffico a Bogotà è infernale, al pari dello smog che si è costretti a respirare e del rumore dei clacson dei mezzi. Sì, perché qui per qualsiasi motivo ogni autista, indipendentemente dal mezzo che guida, suona. Alla domanda: “Janeth, perchè qui tutti suonano? La risposta è stata: “Es costumbre”.

Ottenuta la conformidad, si poteva fare il pasaporte, indispensabile perché Alexander possa entrare in Europa e soprattutto per uscire dalla Colombia.

Prima del pasaporte, però, tappa in una specie di copisteria per fare la foto da apporre sul visto dell’ambasciata. Il principe è stato bravissimo. Si narra di famiglie che per riuscire a fare una foto decente ai loro figli abbiano impiegato anche un’ora; Alexander, invece, meno di cinque minuti, probabilmente perché ormai è stremato dalle circa 150 foto che giornalmente mamma Chiara gli scatta.

L’ufficio passaporti di Bogotà è nuovissimo e modernissimo. All’ingresso ci sono due gentili e “splendide” signorine (le modelle di una qualsiasi rivista di moda al confronto sono delle “racchie”) che ti indirizzano allo sportello richiesto. Qui, un efficientissimo impiegato raccoglie in un attimo i dati del richiedente, scannerizza i documenti necessari, scatta la foto che andrà sul documento, aiutandosi nel caso di un bambino con dei giochini che tiene sulla scrivania in mezzo alle scartoffie, e voilà il documento è pronto per il ritiro che può avvenire il giorno seguente o al massimo dopo due giorni. Più o meno come in Italia!?!

Alle 12.15 la prode Janeth pronuncia la fatidica parola: “Listo”, che, per chi non l’avesse ancora capito, significa che tutto è andato per il meglio e quello che dovevi fare è finito.

Nel giro di circa un’ora, a causa dell’immancabile traffico, la nostra famiglia era in zona Portal. Carmenza era stata avvisata che si sarebbe mangiato fuori, quindi, niente di meglio che concludere la positiva mattinata davanti a una fumante pizza, naturalmente da Pizza Hut.

 
Besos,
I Longo







giovedì 23 agosto 2012

Bananas, platanos, bocadillos & c.


Dato che la giornata di oggi non è degna di grande nota, abbiamo deciso di parlarvi della cucina colombiana.

Non abbiamo la pretesa di fare un excursus completo ma di riportare la nostra esperienza in merito.

Innanzitutto c’è da dire che qui non esistono le portate come da noi: antipasto, primo, secondo e dolce.

Qui si mangia tutto in un'unica soluzione e alla fine c’è sempre il postre, un dolcetto a base di frutta o di arequipe (caramello). Le comidas (pasti) sono sempre accompagnate da succhi di frutta naturali ottenuti dalle mille tipologie di frutta locale. Data la varietà di postre e succhi, per ora ci soffermeremo solamente sulla portata principale ripromettendoci di tornare sull’argomento nei prossimi post.

Fin qui l’introduzione. Ora entriamo nel vivo della nostra esperienza.

Dato che l’orario dei pasti al Portal è abbastanza flessibile e non sai mai a che ora metterai le gambe sotto la tavola, spesso quando è pronto le famiglie sono ancora nelle loro camere e allora Carmenza o Patricia bussano alle porte e ti dicono “a la mesa por favor”. Quando si sentono queste paroline magiche cominciano le preghiere che ognuno rivolge al proprio dio: “fa che ci sia qualcosa di commestibile!”.

In realtà la cucina colombiana non è affatto male, anzi. Però si basa principalmente su due-tre prodotti locali: patate, riso, carne e frutta.

Gira e rigira nel piatto le cose sono quasi sempre quelle anche se cucinate in modo diverso. E su questo niente da dire perché alla fine, quelle due-tre cose sono davvero buone.

Abbiamo perso il conto di come possano essere cucinate le patate: al di là dei modi a noi noti, per esempio si mangiano patate intere di dimensioni minuscole, molto più piccole delle nostre novelle, fritte con la buccia e salate. Divine! Oppure c’è un tubero simile ma molto più coriaceo, la yucca, che viene servita come le chips o in crocchette. Super–divine!

Stesso discorso per le banane. Hai voglia a chiamarle banane! Qui ad ogni misura corrisponde un nome diverso: il banano è enorme e si cucina ripieno o fritto; il platano è un po’ più piccolo, si taglia a strisce longitudinali e si frigge come una patatina; il bocadillo, invece, è una bananina piccola che si mangia fresca. All’Esselunga si trovano alla modica cifra di 8 euro a confezione da cinque!?!

Ecco, ogni giorno ti trovi o le patate o le banane a contorno del piatto di carne. E se non sono patate o banane è un pugnetto di riso pescato senza la minima ombra di condimento. Insomma, o troppo o niente.

La banana, però, non è l’unico frutto usato a mo’ di verdura. Spesso, tra un pezzo di carne o tra i fagioli fa capolino l’avocado. Ora, se uno è abituato a mangiarsi un po’ di detersivo ogni tanto può anche apprezzare quella fetta di colore verde acido. Se, invece, non hai questa abitudine fai come noi e l’avanzi sempre nel piatto.

Altro discorso per la carne che qui è sempre di ottima qualità. Che si tratti di pollo, suino o bovino, di solito la cottura è abbastanza semplice, come per esempio alla griglia e il risultato non delude quasi mai.

In generale, quindi, non possiamo di certo lamentarci ma a lungo andare ogni tanto una minestrina o una semplice pasta non guasterebbe per niente.

Ecco perché quando la famiglia Longo non è stata tanto bene anche i sani hanno colto l’occasione per farsi preparare un piattino leggero: petto di pollo alla piastra e patate lesse!
 

Besos,
I Longo


P.S. Comunicazione per i nonni: domani mattina usciamo presto per fare il passaporto di Ale e la “conformidad” all’Icbf quindi non saremo reperibili su Skype. Semmai proveremo a metterci in contatto al nostro rientro anche se non abbiamo idea di quando sarà. Besos