martedì 31 luglio 2012

Acqua, questa sconosciuta


Acqua bene inalienabile, ricchezza dell’umanità, sostanza vitale in tutto il mondo. Tranne che in Colombia.

Acquistare una bottiglietta d’acqua non dovrebbe essere una cosa difficile. In Italia qualsiasi bar, negozio di generi alimentari o supermercato ne ha a decine, di ogni tipo e marca: naturale, frizzante, leggermente frizzante, effervescente naturale, con bolle di mezzo metro o quelle con una sola bolla che va in giro come un’idiota in cerca di qualche compagna, ecc. In Italia, poi, ci sono bottiglie di ogni dimensione, dal formato famiglia extra large fino al flaconcino da pochette.

In Colombia non è così, anche nei supermercati più forniti l’acqua scarseggia. Le marche sono due, massimo tre, e le uniche bottiglie disponibili sono quelle da mezzo litro. Se sei a Bogotà, questo non è un grande problema, tanto il sole non si vede quasi mai e non rischi di certo la disidratazione, ma se ti trovi in una città come Neiva, con temperature oltre i 30 gradi sia di giorno che di notte, il problema esiste, eccome!

Nei giorni trascorsi a Neiva le cassiere dell’unico supermercato presente nel centro della città strabuzzavano gli occhi ogni volta che ci presentavamo alla cassa con non meno di 15-20 bottigliette d’acqua da mezzo litro. Erano stupite perché nessun colombiano che si rispetti beve acqua e da una cassa all’altra si dicevano “los solitos italianos sborones!”.

In compenso in Colombia gli scaffali sono pieni di bibite di ogni tipo, rigorosamente gasate, e in formati che in Europa nessuno di noi ha mai nemmeno immaginato. Vedere una bottiglia di Coca Cola da 2,5, 3 o addirittura 4 litri fa un po’ impressione.

Accanto alle marche più conosciute, poi, si trovano bevande di produzione locale che ad essere sinceri spaventano alquanto, ma che qui bevono praticamente tutti. Si tratta delle famigerate “gaseosas” di colore arancione, sulla cui etichetta figura solo il nome “La Colombiana” e nient’altro. Ora, si era già capito che il colombiano mi è particolarmente patriota (e fa bene!), ma dare un nome così altisonante a un beverone di cui l’etichetta non riporta nemmeno gli ingredienti sembra un po’ azzardato. Perché è proprio così: l’etichetta tace sulle sostanze con cui il beverone è fatto. Alla faccia della salubrità dei prodotti e della filiera di cui tanto si parla in Italia.

Se interessati, l’altro giorno al supermercato dove andiamo con maggior frequenza abbiamo visto che ne vendono cinque litri a un prezzo stracciato e ti danno pure il bicchiere in omaggio. Affrettatevi però perché l’offerta è valida fino a esaurimento scorte!

Oggi non volevamo credere ai nostri occhi. Su uno scaffale dello stesso supermercato, lontano decine di metri da quello delle bibite, facevano bella mostra di sé alcune bottiglie di acqua naturale da un litro di una nota marca francese. Stavolta è toccato a noi strabuzzare gli occhi e ci siamo avvicinati subito, ma con altrettanta velocità ce ne siamo andati. Il prezzo di una bottiglia era di quasi 10.000 pesos, cioè all’incirca 5 euro!!!

Fatti due conti, siamo andati a prendere la Colombiana. Almeno con quella ti regalavano il bicchiere!

Besos,
I Longo
 

PS: ovviamente scherziamo! La Colombiana non l’abbiamo mai assaggiata. Preferiamo i colombiani, quelli alti un metro e venti o addirittura che al metro non c’arrivano per niente! Quelli però, invece di berli, ce li mangeremmo di baci!



lunedì 30 luglio 2012

Il cuore caldo del Portal


Visto da fuori fa quasi paura. Sembra un bunker.

Nessun segno di apertura verso l’esterno: non una finestra, né tanto meno un balcone.

Per entrare devi suonare, aspettare che qualcuno venga allo spioncino e attendere che ti apra. Per uscire è uguale. Non puoi aprirti la porta da solo. Devi suonare un campanello (il suono è diverso rispetto a quello esterno) e attendere che qualcuno venga a togliere il catenaccio che sigilla la porta. Non solo, accanto all’ingresso c’è uno sgabuzzino che funge da guardiola. I vetri della finestrella sono oscurati all’esterno così che tu possa vedere senza essere visto. Tutto il perimetro della casa è percorso da metri e metri di filo spinato e ovunque ci sono adesivi che avvertono che la casa è controllata con un sistema d’allarme sicurissimo.

Questo è El Portal visto da fuori.

Dentro invece è un cuore pulsante di vita e di calore. El Portal, infatti, è una casa di ospitalità per famiglie adottive provenienti da tutto il mondo. Soggiornarvi è come essere al campo estivo: ci sono luoghi e momenti che condividi con persone che stanno facendo la tua stessa esperienza, mentre altri dedicati totalmente a te stesso quando ti chiudi all’interno della tua “abitacion” (un po’ come il “deserto”; chi non l’ha fatto almeno una volta nella vita?).

La struttura della casa non ci è del tutto chiara. Sembra che al nucleo iniziale siano stati aggiunti tanti piccoli pezzetti (avranno chiesto i permessi al Comune?) ognuno con il suo perché: la veranda per sala da pranzo, lo sgabuzzino dove si ripongono i seggioloni, una camera extra large per famiglie numerose, la stanza della cuoca Carmenza, la sala giochi…Insomma, ogni angolo ha un preciso motivo di esistere.

Quello che doveva essere il nucleo iniziale è enorme ed è composto da un salotto in cui campeggiano diversi divani. Probabilmente servono per favorire le conversazioni che di solito qui sono multilingue: spagnolo, italiano, francese, inglese, milanese, varesotto e pure napoletano.

Ovunque c’è la moquette e per alcuni questo è un problema (c’è chi ha messo il figlio sotto cortisone da quando è arrivato) mentre non lo è per chi ha un bimbo di un anno che sta muovendo i suoi primi passi e cade una volta sì e l’altra pure.

L’angolo più emotivamente caliente della casa è l’anticamera, cioè il passaggio dalla veranda che funge da entrata e il salone. Si potrebbe dire che questo è il luogo dei bei ricordi perché alle pareti sono appesi dei veri e propri capolavori. Si tratta di collages di foto delle varie famiglie che negli anni sono passate di qui. Ci siamo persino noi! C’è una minuscola Danielina seduta a gambine divaricate nella sala giochi del vecchio Portal e, udite udite, una foto che ritrae mamma e papà intenti a fare la pizza. O meglio, la mamma che faticava a fare la pizza e il papà alle sue spalle che se la ride come un matto.

In questo mausoleo, poi, si trovano gli schedari in cui la senora Claudia custodisce in perfetto ordine cronologico le schede che fa compilare ad ogni coppia e in cui vengono riportati i nomi dei genitori, dei figli, la loro provenienza e la data della permanenza al Portal. La scheda, ovviamente, è corredata di foto del nucleo familiare bello sorridente. E anche in questo caso è stata un’emozione indescrivibile ritrovarsi in un’istantanea di sei anni fa, ovviamente belli sorridenti.
 

Besos,
I Longo









domenica 29 luglio 2012

Il sogno di Luca

“I sogni son desideri chiusi in fondo al cuor…”

Come Cenerentola, anche Luca aveva un desiderio. Il suo, però, non era chiuso in fondo al cuor bensì in fondo allo stomaco e si chiamava Pizza Hut.

I fedelissimi di questo blog sanno già che domenica scorsa Luca aveva rinunciato al suo sogno in nome degli artigiani bogotani. Si poteva fargli saltare un altro week end?

Per la verità si poteva anche, ma il meteo ha giocato a suo favore e alla fine, non potendo fare molto all’aperto a causa di una pioggerellina odiosissima, ci siamo rintanati nel locale vicino al Portal. La particolare vicinanza alla nostra residenza in queste settimane non ha fatto altro che aumentare le aspettative del capofamiglia; si usciva per una passeggiata, sguardo fugace alle vetrine con il caratteristico simbolo del cappello rosso e occhiolino d’intesa: “ci si vede domenica, aspettami!”.

L’amore di Luca per Pizza Hut risale a molti anni fa (è un tipo fedele), al primo viaggio in Inghilterra. Il legame si è poi consolidato nei successivi viaggi, compreso quello in Colombia di sei anni fa. Qui per la verità, si è consumata una grande delusione perché Luca ha scoperto che l’adorata figlia non apprezzava più di tanto le prelibatezze che vi si consumano.

Qualcuno potrebbe non essere d’accordo sul termine “prelibatezze” e non me la sentirei di dargli torto. Per la verità, più di quello che si mangia, ad attirarlo è ciò che Pizza Hut rappresenta e cioè l’unica pizza edibile all’estero. Infatti, se aprissero un Pizza Hut a Verona Luca non ci andrebbe di sicuro. Credo.

Insomma, oggi Luca sembrava un bambino in un negozio di giocattoli e, pur sapendo a memoria il menù, non si decideva su cosa prendere (manco ci fosse una lista interminabile di proposte!).

Solo su una cosa non ha mostrato il minimo dubbio: la crosta farcita. Una diavoleria che farebbe inorridire qualsiasi pizzaiolo degno di questo nome. Il bordo è ripieno di un formaggio filante simil-mozzarella e qui, come se non bastasse, ti portano una salsina di pomodoro per intingerla. Diabolici!

Anche a distanza di anni l’adorata figlia continua a non apprezzare questo tipo di prelibatezze (c’aveva visto giusto già allora?) e ha ordinato una pasta (dopo averla vista forse avrebbe preferito la pizza!). La mammina, credendo di fare la brava mamma ha cominciato a imboccare il piccolo di fettuccine ma stranamente il principino le rifiutava facendo lanci olimpionici degni di Londra 2012.

“Che stia male?” - “Ha fatto un po’ di merenda ma non ha mangiato tantissimo…” - “Forse perché si è appena svegliato” - “Gli daranno fastidio i dentini?”.

Battuto il record mondiale del “lancio della fettuccina all’olio d’oliva”, alla fine il mistero è stato risolto: aveva adocchiato la crosta farcita. E così anche il secondo sogno di Luca si è realizzato: l’adorato secondogenito adora già Pizza Hut e la faccenda per le donne di casa si fa ancora più seria!
 
Besos,
I Longo



PS: Con noi c’erano anche Nicola, Barbara e Juan che mercoledì partiranno alla volta di Neiva per andare a incontrare la piccola Jessica, di un anno e mezzo. Sono di Vicenza e li avevamo già incontrati durante un incontro Aibi. Abbiamo passato la giornata con loro ed è stato davvero bello.









sabato 28 luglio 2012

El paseo de los millonarios

Non tutte le ciambelle riescono col buco, si sa, ma oggi la nostra non è nemmeno lievitata!

L’intenzione era buona, anzi buonissima: far divertire i bimbi (che poi è l’intenzione che ci anima ogni volta che ci svegliamo la mattina) e, soprattutto, fare qualcosa di nuovo. La nostra routine quotidiana, infatti, prevede un giro in uno dei tantissimi parchi il mattino, dopo aver fatto un po’ di compiti, riposino pomeridiano e giretto all’Illy Cafè nel tardo pomeriggio.

Oggi, essendo sabato, ci siamo sentiti pronti per rompere la tradizione e abbiamo pensato di andare al Parque del Chico. Direte “sempre parco è”. Infatti è così, ma là ci sono molti più giochini e soprattutto (lo so, siamo noiosissimi) ci abbiamo passato dei bellissimi momenti con la Danielina.

Per farlo avevamo bisogno di un taxi e per chiamare un taxi avevamo bisogno della senora Claudia. Per spiegare le nostre necessità, quindi, abbiamo usato l’idioma espanol ed è stato lì che abbiamo fatto la frittata. Nella conversazione “El Parque del Chico” si è trasformato nel “Museo de Los Ninos” e così il taxi ci ha portato in un posto a noi sconosciuto.

Dal momento che l’equivoco non era poi così grave (ma soprattutto perché nessuno ha avuto il coraggio di ammettere di aver fatto una cavolata!) abbiamo fatto un bel sorriso e siamo scesi dal taxi borbottando tra di noi “che cacchio di posto è questo?” “E’ tutta colpa tua!” “Studiare lo spagnolo no, eh?” e altre cose carine di questo genere.

C’era da ammettere che non eravamo capitati nella “Città del proibito – giochi per soli adulti”, quindi potevamo anche essere contenti dell’equivoco e fare buon viso a cattiva suerte.

La suerte però è stata particolarmente cattiva perché siamo stati subito assaliti da un’orda di ragazzini appena maggiorenni in divisa verde pisello che hanno cominciato a chiederci “tienen prenotacion?” – “No…” – “Tienen invitacion?” – “No!” – “Tienen reservacion?” – “No! Ma non vedi che non abbiamo nemmeno idea di dove ci troviamo??? Credi che se avessimo saputo che avremmo trovato il tuo bel faccino avremmo fatto una reservacion???”. Risultato: abbiamo aspettato fuori più di mezz’ora vedendo passare tutte le altre famiglie che avevano fatto una prenotacion o un’invitation o, ancora meglio, una recervacion. Braaaaavi loro! Acc!

Dopo la lunga attesa, il bel faccino ci dice “Siga, siga” (avanti, avanti) e noi sigamos. Sigamos una bella… perché veniamo subito bloccati da un altro bel faccino che ci vuole schedare. Dal momento che tutto il Museo de Los Ninos era stato avvisato dell’arrivo di tre stranieri più un mezzo apolide, ci hanno fatto compilare un documento in cui mancava solamente da segnalare il nostro numero di scarpe. Che se ne faranno poi del numero dei nostri passaporti? Forse all’uscita estrarranno i numeri del lotto e magari si vince qualcosa???

Una volta schedati, due metri più in là, altro posto di blocco. Stavolta veniamo selezionati come i bovini di una mandria e messi in un recinto. Intuiamo di essere ufficialmente entrati nell’equipo verde ed è in questo modo che comincia l’incubo.

Per un’ora veniamo sballottati di qua e di là tra lo stand di uno sponsor e l’altro dove si trovano decine di appena-maggiorenni che fanno fare giochini stupidi ai bambini: qui la Omnitel è la Claro, la Pampers è la Winny, la Chicco è Pepe Ganga. Insomma i bambini giocavano e gli adulti si sorbivano montagne di offerte commerciali. Figuratevi l’interesse che potevamo avere noi. Per di più la Dani non era minimamente interessata alle attività proposte (come darle torto?!?) e il piccolo, privato ingiustamente del suo passeggino perché non poteva essere portato dentro, cascava dal sonno in braccio al papy.

Insomma: un successone! Una ciambella rimasta tristemente sul fondo della teglia!

La parte più interessante della mattina, quindi, non potendo certo essere questa, è stato il viaggio in taxi.

Oggi, infatti, abbiamo fatto la conoscenza di Ignacio, un conductor de hoteles.

Ignacio ci ha spiegato che qui i taxi sono divisi in due categorie: i conductores de hoteles, cioè quelli che lavorano solamente con le strutture ricettive come El Portal e che vengono chiamati direttamente dagli utenti, e i conductores de calle, cioè di strada.

Questi ultimi viaggiano esclusivamente su macchinine gialle microscopiche che sembrano tanto delle coccinelle, ma quelle che pungono, però la loro particolarità non è prevalentemente questa. Capita infatti, che salendo su una di queste vetture la suerte ti sia particolarmente ostile e ti tocchi fare “el paseo de los millonarios”.

La cosa funziona così: tu stai a bordo strada e devi andare da una parte, alzi il braccio come per dire “il primo taxi disponibile si fermi, por favor”, il primo taxi disponibile si ferma ma è quello guidato da un delinquente patentato (anche se magari la patente da tassista nemmeno ce l’ha) il quale ascolta gentilmente l’indirizzo a cui dovrebbe condurti e invece ti porta al primo cajero (bancomat) che trova per strada, ti obbliga a scendere, a fare il prelievo che il plafond della tua carta di credito di consente e, sempre gentilmente, ti molla lì portandosi via la plata.

Ignacio ci ha spiegato che il giochetto si chiama anche “sequestro express” e si può capire bene il perché. Per carità, non capita spessissimo e non rischi la vita, ma se ti capita non dev’essere un’esperienza molto piacevole.

È per questo che qui i taxi si devono chiamare al telefono facendosi dare el codigo y la clave (il codice del taxi e la targa del mezzo). Ed è per questo che noi stamattina abbiamo detto a Ignacio di aspettarci fuori dal bellissimo museo.

Non avevamo nessuna voglia di giocare alla roulette russa col tassista. Anche perché non siamo proprio i millionarios ideali per un paseo!


Besos,
I Longo





venerdì 27 luglio 2012

Desculpe!

Con oggi si è conclusa, dal punto di vista lavorativo (per chi deve aiutarci a completare l’iter), la nostra quarta settimana in Colombia.
Le giornate trascorrono piacevoli e tranquille: giretto al parco il mattino, passeggiata fino all’Unicentro il pomeriggio, con pausa caffè per mamma e papà e gelato per i due cuccioli.
Ogni tanto, come oggi, qualche piccolo acquisto, approfittando delle incredibili svendite promozionali (rebajas) con sconti che spesso arrivano al 70%.
L’umore, però, non è dei migliori, anzi.
La telefonata che tanto aspettavamo non è arrivata; il giudice nemmeno oggi ha firmato l’atto ammissorio, per cui, per ben che vada, se ne riparla lunedì. Il problema è che, dopo appunto quattro settimane, la nostra pratica è ancora in alto mare.
Sei anni fa, con Daniela, dopo circa 28 giorni stavano completando gli ultimi documenti per poter rientrare in Italia. Ora, invece, non siamo nemmeno al primo step legale. Sappiamo che c’è un intoppo, ma fino a quando il giudice non firma l’atto, non sappiamo quanto grave sia e soprattutto quanto tempo potrà farci perdere.

Nella migliore delle ipotesi, facendo il conto delle cose (molte!) che ancora restano da fare, il nostro soggiorno in Colombia prevede almeno altre tre settimane, sperando naturalmente che l’intoppo non sia poi così grave e che non si porti via più di 4-5 giorni.

Morale della favola: l’umore oggi è piuttosto basso e la voglia di scherzare davvero poca!!!
Desculpe a todos. :-)

Besos,
I Longo



giovedì 26 luglio 2012

Mujeres


Oggi era il giorno delle donne. Delle donne Longo, s’intende.
Daniela, infatti, ieri ha espresso il desiderio di passare una mezza giornata sola con la mamma perché “non stiamo mai insieme”…??? “Dani sono ventiquattro giorni che viviamo appiccicate ma se questo è il tuo desiderio, ti accontento subito. Anzi! Mi sento generosa: facciamo un’intera giornata insieme: la mattina compiti e il pomeriggio cinema!”

Dopo aver subodorato la fregatura, la principessa ha acconsentito e così, dopo aver fatto un bel po’ di pagine, dopopranzo si è proprio meritata un bel film.
L’idea era quella di andare a vedere Madagascar 3, ma qui è già nei cinema parrocchiali e ce lo siamo perso.

Scartati per ovvi motivi Spiderman e Batman, la scelta obbligata, quindi, è ricaduta su “Valiente”, ovvero “Ribelle - The brave” in uscita a settembre in Italia. Per questo motivo non anticiperò niente di come si svolge la vicenda ma una cosa la devo dire: la spacciano per una storia sul destino delle persone ma in realtà è sul rapporto madre-figlia. Come dire? Cadeva giusto a fagiuolo! L’eroina ha una cabeza durissima e pretende di voler fare quello che vuole. La madre, invece, è durissima e dolcissima allo stesso tempo. Insomma, due donne a loro modo molto speciali.

Film magnifico, pomeriggio magnifico, passeggiata mano nella mano con la piccola per le vie trafficatissime di Bogotà magnifica.
Questo nel giorno in cui abbiamo appreso che il giudice che sta seguendo la nostra pratica è in realtà UNA giudice. Con ogni probabilità, poi, sarà una giudice con la cabeza di coccio che pretende di fare quello vuole (ok, il suo ruolo glielo permette); sarà pure durissima e dolcissima?

Mah, quello che sappiamo è che si è incaponita sull’avere gli originali di tutto il plico di Alexander. No problem! Ma il plico si trova a Pitalito, nella città natale del piccolo, a quattro ore di auto da Neiva e a una distanza non meglio precisata da Bogotà.

Oggi il nostro avvocato di Neiva, Haijdè, (ricordate? Una donna, naturalmente) ha cercato di farsi dare la delega per andare a procurarseli. In questo modo in teoria dovrebbe accelerare i tempi che, nel caso l’incarico venisse dato all’ICBF (Instituto Colombiano de Bienestar Familiar) probabilmente sarebbero biblici. La giudice, però, non l’ha ricevuta. Troppo impegnata, dicono, a incaponirsi e a fare la dolce.

Fatto sta che il tanto temuto intoppo è arrivato e per ora non si sa se il tempo che ci farà perdere sarà sostenibile oppure no. Se è per quello, neanche le spese che dovremo sostenere per il viaggio dell'avvocata non sono del tutto chiare!

Intanto viviamo alla giornata e attendiamo buone nuove da Olga, il nostro avvocato di Bogotà, una donna ovviamente!

W las mujeres! Tranne quelle che si incaponiscono. Mortacci loro!

Besos,
I Longo



mercoledì 25 luglio 2012

Sua santità il caffè


Oggi si è realizzato un sogno. Siamo andati all’Illy Caffè corner per il mitico Mocaccino.

Ormai siamo a Bogotà da venti giorni ma non eravamo ancora riusciti ad andare ,o meglio ci eravamo fatti trarre in inganno e finora avevamo solamente perso tempo.

Il fatto è che i colombiani, da bravi patrioti nazionalisti, credono in Juan Valdez. Il loro è un vero e proprio atto di fede e vanno al suo cospetto presso i santuari disseminati in tutto il Paese. A Neiva ne abbiamo visti un paio mentre Bogotà è stata letteralmente invasa (come tutto il Sud America del resto).

El senor Juan Valdez in realtà non esiste. È un nome fittizio per reclamizzare e distribuire il caffè prodotto dai cafeteros colombiani. Come operazione di marketing, in effetti, funziona benissimo perché entrando in una qualsiasi caffetteria ti sembra di contribuire a migliorare le sorti dei campesinos che, mulo al seguito, faticano a raccogliere i chicchi rossi nelle zone più impervie del Paese.

Chi ti prepara il caffè indossa una T-shirt con su scritto “io ti sto preparando il caffè dei produttori colombiani”, alle pareti ci sono gigantografie dei muli e dei chicchi rossi, ad ogni angolo ci sono pacchi di caffè con su scritta la regione di provenienza. Insomma, un livello altissimo di autoreferenzialità e tu ti gusti il caffè convinto di sentire il profumo delle Ande.

In realtà il caffè non te lo gusti per niente perché per farlo ti ci vorrebbe una lingua di amianto. Juan Valdez in persona (che ci dicono essere in odore di santità), infatti, deve aver deciso che la bevanda debba far patire il martirio prima di essere consumata. O forse il motivo vero (verdadero) è che, per adeguare l’atto di degustare il caffè ai ritmi sudamericani, la temperatura debba essere direttamente proporzionale al tempo che ci devi impiegare: cento gradi equivale a mezz’ora di tempo per bere una tazzina.

Tazzina? Qui non si usano tazzine! Qui si usano bicchierini di carta che per non sciogliere le dita all’incauto avventore vengono addobbati con un anello di cartone (o è amianto?) all’altezza della zona di presa. Il cucchiaino, poi, è una cannuccia lunga dieci centimetri e di un diametro variabile dal mezzo millimetro al millimetro e mezzo. Insomma, serve solamente per creare un po’ di movimento nel liquido senza minimamente riuscire a sollevare lo zucchero che quindi rimane inevitabilmente sul fondo.

Il “machiatto” (non è un errore di battitura, è scritto proprio così, con le doppie messe a casaccio), poi, è un beverone di mezzo litro che, se facciamo la proporzione, ci si mette un pomeriggio intero a bere, amaro naturalmente!

Insomma, onore e gloria a San Juan Valdez e a tutti i campesinos cafeteros del mondo, ma noi stamattina ci siamo fatti un bel mocaccino come Dio comanda.

La scusa era quella di ripercorrere le tappe fatte con Daniela. Perché l’Illy Caffè corner è uno dei luoghi in cui per poco non mettevano le nostre foto segnaletiche “qui i Longo non possono entrare”. Infatti ci andavamo spesso (ma non è questo il motivo per cui volevano bandirci, anzi, credo che per quello che gli abbiamo sganciato in trentacinque giorni ci avrebbero steso un bel tappeto rosso) e la Dani ogni volta combinava disastri con rovesciamenti di tazzine, briciole di biscottini ovunque, pianti isterici privi di ogni motivo, passeggino che si impigliava inevitabilmente tra le sedie eccetera eccetera (questi sì, erano buoni motivi per dirci di stare alla larga!).

Oggi volevamo rivivere quelle belle esperienze e siamo stati lieti di vedere che le nostre foto sono state rimosse (nessuno avrebbe scommesso una cicca che saremmo tornati sul luogo del delitto, eh??). Ma siamo stati ancora più felici di riassaporare le squisitezze che vengono fatte qui: tazzine vere, cucchiaini di metallo, caffè caldo al punto giusto e schiuma… schiuma!

Ci dicono che Illy qui abbia delle piantagioni (onestamente ci stupirebbe il contrario) e speriamo vivamente che anche lui contribuisca a rendere sempre più vivibili le vite dei campesinos anche se non ha affisso le loro foto nel corner. Solamente convincendoci che sia così, infatti, la nostra coscienza si mette tranquilla.

Il nostro palato, invece, è al settimo cielo!


Besos,
I Longo

PS: Nella foto dell'Illy, alle spalle di Luca si può notare una tipica mammina colombiana.









martedì 24 luglio 2012

A volte ritornano


Ebbene sì: la tanto temuta richiesta è arrivata.

“Senora Chiara, una pregunta: Haces la pizza con migo para esta noche?”. Tradotto: la cuoca Carmenza è tornata all’attacco con la stessa proposta indecente, fatta sei anni fa, di preparare la pizza per tutti gli ospiti.

Carmenza, infatti, nonostante l’esperienza quasi disastrosa dell’altra volta, non ha ancora capito che Chiara, in realtà, non è capace di fare la pizza. E, non avendolo ancora capito, si ostina a chiederle una mano per prepararla.

Quando la domanda è arrivata, inaspettata, Chiara non ha avuto il coraggio di dire subito di sì. Per prima cosa ha guardato l’orologio, ha fatto un rapido conto ed è entrata subito in crisi: troppo tardi per chiamare la mamma e farsi dare la ricetta (come aveva fatto sei anni fa, del resto).

Il panico ha preso il sopravvento: sola, dall’altra parte del mondo, diciassette persone da sfamare e la mamma irreperibile. C’è qualcosa di peggio?

Il fatto è che da sei anni Chiara ha un incubo ricorrente: pasta ovunque in cucina, le mani incollate, poca farina e troppa acqua, il forno che non scalda, intere famiglie affamate in attesa da troppo tempo in sala da pranzo e la pizza che non cuoce. Sudorini freddi lungo la schiena e un urlo che squarcia la notte. Un vero incubo che purtroppo corrisponde alla realtà perché le cose sono andate più o meno così.

E oggi quell’incubo si è concretizzato di nuovo. Chiara l’aveva detto, più per scherzo che con convinzione: “Vero che la Carmenza non ripeterà quell’errore?”. E invece sì: oggi l’ha ripetuto.

Ebbene, Chiara questa volta ha deciso che le cose dovevano andare diversamente e ha cercato subito un alleato. Non potendo disporre dei consigli della mamma, ha fatto un appello accorato alle altre mamme presenti al Portal: ben due!

Ma Chiara, per una volta, ha avuto c…o: la mamma che ha risposto all’appello fa la pizza in casa almeno una volta alla settimana!

Ne è nata subito un’alleanza: Chiara ed Elena alla riscossa. Appuntamento alle quattro in cucina e “que la vaga bien!”. Per andare bien è andata bien, tanto più che alle due pizzaiole se n’è aggiunta un’altra che si è spacciata per la più esperta di tutte: Daniela.

Alle due Longo sono toccate due dosi da impastare e, inutile dirlo, la loro porzione di cucina era la più sozza. L’intenzione di Chiara era quella di segnare gli impasti lavorati da loro in modo da poter monitorare la situazione ed evitare che andassero sul tavolo delle altre famiglie, ma la Dani, sicurissima di sé non ha voluto e a chi tocca tocca! Entonces, que la vaga veramente bien!

Nel frattempo la voce si era sparsa per il quartiere e una coppia di francesi appena arrivati al Portal ha accampato la scusa di aver cenato in aereo per evitare l’esperimento. Previdenti!

Invece, alla fine, si sono persi qualcosa perché la pizza non era niente male.

Pizza Hut è un’altra cosa, ma alla fine la pizza è sempre la pizza e venire fino in Colombia per mangiarne una fatta da tua moglie non ha prezzo!

Besos,
I Longo


lunedì 23 luglio 2012

Un'etichetta per amica


Oggi Yunior Alexander compie quattordici mesi. Noi l’abbiamo conosciuto quattro mesi fa e siamo i suoi genitori da meno di venti giorni.

A proposito di questo, apriamo una parentesi sull’argomento “come mai i Longo se ne stanno ancora a Bogotà girovagando per parchi e centri commerciali, apparentemente senza nient’altro da fare?”. E’ verissimo, in questo periodo non abbiamo assolutamente nulla da fare se non aspettare. Aspettare che un giudice decida che la procedura che ci riguarda sia tutta a posto e apponga la sua preziosissima firma sul documento che ci dichiari definitivamente mamma e papà di Alexander.

Quando quella firma verrà fatta noi saremo ufficialmente felici e contenti.

Da quel momento ripartirà un periodo molto più operativo per noi in quanto ci saranno degli ulteriori documenti da preparare, tra cui il passaporto del piccolo, ma che saranno tutti facilmente procurabili (e fu così che…). Prima però Luca dovrà recarsi di nuovo a Neiva per mettere la sua, di firma, su quel documento. La firma della mamma, invece, non è così importante (!) quindi io me ne starò qui con i pargoli in attesa che il capofamiglia torni vincitore. Adesso però chiudiamo la parentesi sui Longo nullafacenti e riapriamo quella sul frugolino.

Insomma, oggi è il suo complemese e dopo tanti post dedicati a emerite stxxxxxte, parliamo un po’ di lui.

Non possiamo ancora dire di conoscerlo bene (potere dell’amore, adorare un essere di cui si sa così poco) ma qualche idea ce la siamo già fatta.

Ale è curiosissimo, la vista e l’udito gli devono funzionare alla grande dal momento che ogni cosa che si muova o faccia rumore attrae immediatamente la sua attenzione.

Ale è un temerario. Gattona alla velocità della luce e cammina attaccandosi solamente a un dito dell’adulto più vicino (ma solo se è un parente). Nella sua giovane vita se l’è già vista brutta più di una volta nei vari tentativi di Daniela di sollevarlo e di tenerlo in braccio, ma questo non lo fa desistere dall’avventurarsi su e giù per le scale o in giro per i corridoi del Portal. Mamma e papà invece, anch’essi nella loro giovane vita (?), se la vedono molto brutta ogni volta che il piccolo tenta di scendere le scale direttamente con la faccia!

Ale odia essere vestito. O meglio, odia essere schienato. Quando percepisce la volontà di uno dei genitori di prenderlo in braccio si rende subito disponibile e si appresta a salire di livello per raggiungere oggetti altrimenti inaccessibili. Quando, però, si rende conto che l’intenzione del grande è quella di riporlo sul fasciatoio per cambiarlo comincia la scenata del tipo “Traditore! Mi hai illuso con le tue false lusinghe per trarmi in inganno! Io mi fidavo di te e tu mi ripaghi con questa bassezza! Non vedi che sono pulitissimo? Che emano un profumino primaverile e che le tue salviette mi irritano la pelle? Infame! Appena sarò cresciuto abbastanza te la farò pagare!” Insomma, grandi dimostrazioni di gioia e gaudio. Si calma solamente se a cambiarlo è la mamma o se nei paraggi c’è Daniela. Perché sono dolci e sanno come calmarlo? No! Perché afferrando e tirando i loro capelli fino a farle lacrimare lui ha la sensazione di vendicarsi almeno un po’!

Alla faccia degli zii Daniele e Francesca (!), Ale dorme meravigliosamente bene. Lo si mette nel lettino verso le 20:30 e lo si rivede la mattina dopo alle 7:30. Questo dopo un riposino di un’oretta a metà mattina e uno di un paio d’ore al pomeriggio. Fantastico! I riposini, poi, coincidono perfettamente con la passeggiata mattutina e con i compiti pomeridiani della sorella. Praticamente sembra programmato per la routine dei Longo!

Ale mangia come un grande. Ci avevano detto che aveva qualche problema nella crescita ed eravamo un po’ preoccupati ma adesso l’ansia è passata totalmente. Probabilmente ha saltato a piè pari la fase dello svezzamento perché non è possibile che un bambino di quattordici mesi mangi quantità incredibili di salsiccia, fagiolini, bistecca e pomodori. E guai a non imboccarlo appena ha mandato giù. I primi giorni ci dicevamo “farà come la Danielina: all’inizio per compiacerci farà il robottino, poi inizierà a rifiutarsi di aprire la bocca”. Forse andrà così ma per ora non c’è alcun segno di cedimento da parte sua. Siamo un po’ in pensiero per il volo di ritorno: ci faranno pagare un extra perché il passeggero non corrisponde a quanto dichiarato???

Ale si arrabbia come una iena (vedi il paragrafo del cambio pannolino) e fa scenate da prima serata. Se gli si fa qualcosa che non gli piace (per esempio non lo si imbocca nel giro di tre micro-secondi, gli si mettono le scarpe, lo si mette per terra perché ti si è atrofizzato un braccio, la Dani gli devasta la guancia a furia di effusioni…) segue questo protocollo: stringe i pugni fino a farli diventare bianchi, gomiti piegati e attaccati al busto, digrigna i denti, chiude gli occhi ed emette un urlo sovrumano. Questo dura al massimo dieci secondi. Subito dopo si getta a terra a pancia in giù rimanendo lì in un tempo variabile a seconda dell’attenzione che ha (o non ha) ottenuto. Noi all’inizio accorrevamo al suo capezzale in un battibaleno preoccupatissimi. Stamattina gli abbiamo semplicemente detto “anche meno ragazzo!” e lui si è alzato immediatamente. Sembrava essere più concentrato che arrabbiato: sta sicuramente meditando su quale sarà la prossima tattica da adottare! Questa è evidentemente superata.

Nonostante ciò, dopo così poco tempo ha già imparato a fidarsi totalmente di noi e appena un estraneo gli si avvicina cerca il primo genitore disponibile perché gli salvi la vita. E il genitore di turno gode da morire e guarda l’estraneo come per dire “Vedi? Mi adora già! E’ evidente che ero proprio io il papà giusto per lui!”

Ale è molto solare e ride a crepapelle ma solo con chi gli va a genio. In questo cogliamo una grande somiglianza con la sorella: sono stronzetti entrambi! Se non ti trovano simpatico con loro hai vita dura. Spiacente! Carmenza e la senora Claudia è da quando siamo arrivati che provano a farlo sorridere ma niente. Conviviamo con delle persone a cui nostro figlio fa il muso appena si avvicinano. Eh, sì. E' abbastanza imbarazzante!

Con Daniela, però, ha un altro elemento in comune. Prima di dormire si fa dei gran giri nel letto (che sia quello formato grande o quello da campeggio messo a disposizione al Portal) e sembra sempre molto irrequieto. In realtà è il suo modo per auto-coccolarsi e solo dopo aver fatto la sua Indianapolis si mette tranquillo. Ed è qui che scatta quella che sembra essere l’unico modo che i mini-colombiani conoscono per dormire: dito in bocca e pezzuola sul naso. Chi vi viene in mente? Ebbene sì: Ale nei suoi momenti di riposo è identico – dico IDENTICO – alla Dani. A differenza della principessina che preferisce maniche o fazzoletti, però, el principe predilige le etichette o i lembi delle lenzuola. Appena posa la testolina sul materasso va alla ricerca del pezzettino di stoffa più vicino e si mette tranquillo.

Un giorno stava rovistando tra i cassetti dell’armadio e io, con non troppa convinzione (tanto qui non stiro mica io!) gli dicevo di non tirare fuori tutte le T-shirt del papà perché non era cosa buona e giusta. Quando ha trovato una maglietta con un’etichetta lunga mezzo metro non me la sono sentita di negargliela: si è appoggiato al cassetto con la testa, dito in bocca e l’etichetta del papy che gli copriva metà faccia. Un’immagine indimenticabile di amore paterno.


Besos,
I Longo


domenica 22 luglio 2012

Amiche pulci


Chiariamo subito: non si tratta delle odiose bestioline, bensì de “las pulgas”, il mercatino che ogni domenica si tiene all’Hacienda Santa Barbara, un agglomerato di negozi e negozietti in stile coloniale.

Il fatto che le bancarelle si tengano solamente di giorno festivo ha rischiato di creare un incidente diplomatico tra i Longo. Al Portal, infatti, il pranzo della domenica non viene servito (anche le cuoche hanno diritto al loro giorno di riposo) e Luca aveva già adocchiato un Pizza Hut dove poter sopperire alla mancanza della comida preparata da Carmenza.

“Ehm, caro, ci sarebbe il mercatino… metti caso che da qui a un a settimana ci fanno partire… non sarebbe bello perderci l’Hacienda Santa Barbara dove abbiamo vissuto tanti bei momenti con la Dani piccolina… ti ricordi? Ci abbiamo pure festeggiato il mio compleanno… era stato bello vero? E poi ci sono tutti quei ristorantini carini, forse qualcuno di loro si sarà messo a fare anche la pizza…che dici? Andiamo?” “Certo che ci andiamo.” Si chiama “arte della persuasione”. O, per chi conosce bene Luca, “enorme spirito di sacrificio”.

Prima però, avevamo un altro rito da compiere: la messa domenicale. Non tanto per la messa in sé (per carità, anche quello), ma la promessa fatta a Daniela di accompagnarla alla chiesa di Santa Barbara dove andavamo con lei. Allora ci ritrovavamo sempre fuori dall’edificio perché la principessina non se ne stava mai buona e poi perché fuori giravano sempre dei cani randagi che lei adorava accarezzare (la leggenda vuole che la neo mammina abbia perso dieci anni di vita quando ha visto la sua piccola di diciannove mesi mettere l’intera manina nelle fauci di uno di loro!). E così siamo andati a messa e all’uscita la Dani era particolarmente contrariata: “Sì vabbè, ma i cani dov’erano???” Volevamo entrare di nuovo per chiedere un surplus di pazienza!

Espletato il rito della messa, nonostante l’assenza di cani, ci siamo diretti a piedi verso l’Hacienda. Di per sé si sarebbe trattato di una passeggiata piuttosto piacevole se non fosse stato per il tempo che definire “pazzerello” sarebbe davvero troppo poco. Prima un caldo soffocante, due secondi dopo pioggerellina leggera e fastidiosissima. Speriamo solo di non esserci buscati qualche malanno.

La strada per arrivare al “Santa Barbara” è una superstrada, quindi non sarebbe l’ideale per una passeggiatina tranquilla da domenica mattina. Ogni tanto però, non siamo stati qui abbastanza a lungo per capire la regola aurea dei turni, mezza strada (per il lungo!) viene chiusa al traffico e la gente ne approfitta per riversarsi con bici, skateboard, roller blade ecc. Noi ci siamo riversati col passeggino.

Una volta arrivati abbiamo fatto un bellissimo giro tra le stradine e le scalette che percorrono in lungo e in largo il centro commerciale (perché alla fine sempre di quello si tratta, coloniale fin che vuoi ma pur sempre centro commerciale è) guardando le vetrine e azzardando ad entrare in qualche negozio. Per inciso, quello contrario allo shopping e che mi farà pesare per una settimana di aver rinunciato a Pizza Hut è stato l’unico a trovare qualcosa per sè!

All’ora di pranzo la scelta era obbligata: Mateo Parilla! Dovete sapere che qui funziona così: tu fai un palazzo, ci metti una piazzetta in mezzo (meglio se coperta), tutto attorno ci metti delle “tiendas” cioè dei mini-negozietti aperti sulla piazzetta e obblighi tutti a cucinare le stesse identiche cose. La gente arriva, si siede dove vuole nella piazzetta, fa il giro e sceglie la tienda che espone le foto più convincenti dei piatti che prepara. Ordini, porti con te un totem (che in certi casi vibra quando il tuo piatto è pronto) che segnala che tu sei cliente di quella precisa tienda e che gli altri camerieri non devono venire a scassarti le … perché a te piacciono di più le foto del loro vicino.

Insomma, noi non abbiamo dovuto fare il pellegrinaggio delle tiendas perché dovevamo assolutamente tornare da Mateo Parilla. C’eravamo stati per il mio compleanno sei anni fa quindi era praticamente obbligatorio in nome dei bei vecchi tempi. E poi solo nominandolo potevo far togliere per un secondo Pizza Hut dalla testa di Luca!

La scelta obbligata è stata ripagata da piatti deliziosi a base di carne alla brace, cioè alla parilla, cucinata da Mateo. Credo.

Esaurito anche il rito del barbecue, mancava quello finale: il mercado de las pulgas. Lo ricordavamo come un mercatino composto da una decina di bancarelle sparse in una piazzetta appena fuori e invece in sei anni di cose ne sono cambiate moltissime: il Santa Fe’ de Bogotà mi vince il campionato (dopo trentasette anni di astinenza) e i posteggianti, non solo sono decuplicati, ma hanno dato vita a un’associazione con tanto di simbolo e partita iva. Tra un po’ c’era da aspettarsi che ti dessero pure lo scontrino per l’acquisto!

Durante il meraviglioso giro, quello contrario allo shopping e preso male con Pizza Hut ha dato qualche segno di insofferenza, ma alla fine la nostra buona azione nei confronti degli artigiani locali l’abbiamo fatta. C’era davvero di che perdere la testa: stoffe, gioielli, oggettistica varia e prodotti alimentari. C’era chi vendeva cani di razza e persino uno che offriva crema di marijuana dalle incomprensibili proprietà terapeutiche. Il tutto sotto l’occhio vigile della polizia, naturalmente.

Sono particolarmente orgogliosa dei pensierini che abbiamo preso per le due nonne ma ovviamente non mi sogno nemmeno di anticipare di cosa si tratta! Ihihih!



Besos,
I Longo