lunedì 3 settembre 2012

E infine... grazie!


Le valigie sono chiuse, i biglietti sono stampati, le lacrime stanno cominciando a scendere ed è quindi giunto il momento di fare i doverosi ringraziamenti.

Dopo 66 giorni trascorsi qui il primo pensiero va alla Colombia. Ne abbiamo già parlato ieri ma ci sembra giusto ripetere la nostra enorme gratitudine verso il Paese che ci ha donato i nostri figli. Grazie in eterno. Noi di sicuro non saremmo stati in grado di fare meglio. Speriamo di rivederci presto.

Grazie ai colombiani in generale.

In particolare vorremmo ripetere il nostro grazie più grande a coloro che si sono presi cura di Alexander fino al 5 luglio. Se è un bambino sereno lo dobbiamo anche a loro.

Grazie a tutti quelli che ci hanno accompagnato durante la nostra avventura qui: las abogadas Olga, Andrea e Haydeè; l’equipo de El Portal, Claudia, Carmenza, Patricia ed Edoardo; gli autisti e i tuttofare. Grazie a loro abbiamo capito che i colombiani sono persone eccezionali.

Grazie alle famiglie che abbiamo incontrato qui e che ci hanno arricchito tantissimo con le loro vite. Famiglie che hanno accolto uno o più bambini facendoli diventare finalmente “figli”. Poter condividere gioie e dolori con tutti loro è stata forse l’esperienza più bella fatta qui.

Grazie a chi ci ha supportato dall’Italia.

I nostri genitori che stando lontani hanno vissuto ogni nostro singolo giorno amplificando le emozioni e anche le preoccupazioni. Grazie di esserci stati sempre al di là del filo. Con loro ringraziamo anche i nostri fratelli e i nipotini che ci hanno sempre fatto iniziare le giornate col sorriso.

E grazie a tutte le persone che in queste settimane sono state alle spalle dei nostri genitori. Non vi abbiamo visti né sentiti ma sentivamo la vostra vicinanza nel racconto dei nonni.

Grazie infinite ai nostri followers. Come abbiamo già detto ad alcuni di voi, il blog era nato per tenere a bada le ansie dei nonni e per poter caricare qualche foto senza intasare le caselle di posta elettronica. Fin da subito, però, quel diario quotidiano si è rivelato soprattutto un modo per sentire vicinissime anche le persone più lontane. In due mesi abbiamo sfiorato le 9000 visite e abbiamo scoperto di avere lettori sparsi in tutto il mondo (Russia, Germania, Stati Uniti?!?). Per dirla tutta ‘sta cosa ci spaventa un po’, ma se leggerci è servito per trasmettere almeno un po’ della nostra felicità e per svelare la magia dell’adozione, non possiamo che esserne orgogliosi.

Infine, grazie ad Ai.Bi. e al suo staff, italiano e colombiano, per tutto quello che fa per l’infanzia abbandonata. Noi ci prendiamo cura di Daniela e di Alexander ma ci sono milioni di bambini in tutto il mondo in attesa di diventare “figli”. Ai.Bi. lavora quotidianamente per loro e noi siamo orgogliosi di sentirci parte di questa associazione.

Per questo motivo ci sentiamo in dovere di divulgare il luogo dove ciascuno di voi potrà trovare un modo per aiutare questi bambini. Un piccolo aiuto moltiplicato per tante persone volenterose può fare miracoli.

Vi assicuriamo che non riceviamo alcun compenso da Ai.Bi. per fare “propaganda”, anzi! Possiamo garantire che il nostro contributo l’abbiamo già dato! ;-)


www.aibi.it
 

Grazie di cuore a tutti voi per questa meravigliosa avventura che avete voluto condividere con noi.

Anzi! La vera avventura inizia domani, nel momento in cui toccheremo il suolo di casa nostra.

 
Besos,
I Longo

 

Nota di servizio per i nonni.
Ecco il piano del nostro volo:
partenza da Bogotà, aeroporto Eldorado, martedì 4 settembre, ore 17.35 (ora locale)
arrivo a Parigi, aeroporto C. De Gaulles, ore 11.15
partenza per Verona ore 15.35
arrivo a Verona, aeroporto V. Catullo, mercoledì 5 settembre ore 17.05
Non vediamo l’ora di riabbracciarvi!!!


domenica 2 settembre 2012

Colombia, croce e delizia


Ne abbiamo dette di cotte e di crude, ce ne rendiamo conto.

Spesso l’abbiamo deriso e a volte ce ne siamo lamentati pesantemente. Ma era solamente per il bisogno di sdrammatizzare, di riderci sopra, di vedere il lato comico di un’esperienza per certi versi fin troppo seria.

È stato il nostro modo di dichiarare il nostro amore per questo Paese, patria dei nostri sogni e terra in cui, al di là di ogni previsione, fondano le radici di metà della nostra famiglia.

Il rammarico è di non aver completato il quadro che abbiamo cercato di dipingere con i nostri post e di levare le tende quando ancora mancavano ancora tantissimi argomenti da trattare come per esempio i mezzi di trasporto su cui abbiamo raccolto un portfolio di tutto rispetto, la meravigliosa architettura moderna dei palazzi nella zona nord, la frutta di cui abbiamo immagini dai mille colori, i postres, i mini-dolcetti di fine pasto che tanto ci hanno fatto ridere e a volte inorridire. E poi le persone: ce ne sarebbe da dire per un altro paio di mesi. A volte il ritratto della cordialità (los hombres) a volte proprio st....e (las mujeres).

Non ce ne vogliano i colombiani (soprattutto quelli che conosciamo!) ma questo è stato veramente difficile da comprendere: come si possa convivere con così tante contraddizioni. Si fanno in quattro per trovarti un posto sul banco in chiesa e poi non c’è verso di uscire dall’edificio con il passeggino perché nessuno si degna di farti passare.

Luca è stato sul punto di litigare di brutto almeno con tre donne in tre diverse situazioni mentre faceva la coda alla cassa del supermercato. La mamma ha urlato tre parolacce di quelle brutte a un automobilista che, nella totale indifferenza, stava tirando sotto lei, la niña y el bebè.

Per carità, queste cose succedono anche in Italia, anzi! Ma nel Paese che hai deciso di amare nonostante tutto, a volte è difficile mandare giù la mancanza di considerazione. Se dalla mia faccia è più che evidente che non ho capito una parola di quello che mi hai detto, perché ti ostini a parlare ancora più veloce???

E poi ci sono le persone squisite che sono la maggiorissima parte e tra cui c’è anche qualche donna (J). I colombiani sono dolci e galanti, discreti e molto fieri.

Una cosa che gli invidiamo enormemente è l’attaccamento alla propria patria. Noi abbiamo dimenticato da troppo tempo cosa significhi essere fieri del Paese in cui siamo nati, mentre qui dappertutto si trova scritto “fiero di essere colombiano” oppure “hecho en Colombia” (fatto in Colombia) e le bandiere si sprecano. Gli uomini che lustrano le scarpe per strada hanno l’appoggiapiedi colorato di giallo, rosso e blu. Le strutture di ogni parco giochi sono colorate delle stesse tinte e al mercado de las pulgas girano cani vestiti col tricolore nazionale.

Ci spiace tantissimo di aver visitato una minima parte del territorio colombiano. Per farlo ci vorrebbe molto più tempo, un diverso equipaggiamento (leggi “meno figli”!) e una carta di credito con un plafond molto più alto dato che in alcune zone è davvero molto costoso (oltre che pericoloso) “avventurarsi”. Anche se rispetto a sei anni fa ci pare di aver notato una diminuzione delle misure di sicurezza, ci dicono che tra Farc, guerriglia e narcotraffico il livello di pericolosità è ancora molto alto (solo la settimana scorsa sono morte sei persone, tra cui due bambini, per l’esplosione di un ordigno piazzato nel baule di un taxi). Alle famiglie adottive viene intimato di non fare nulla che possa mettere grandi e piccoli in situazioni pericolose e noi non abbiamo potuto fare altro che ascoltare questo "consiglio".

La sensazione di perdersi qualcosa, però, rimane ed è triste che un Paese così bello venga trattato in questo modo.

Le migliaia di fotografie scattate, i souvenir e le decine di oggetti conservati scrupolosamente (dai biglietti del cinema alle bustine del te alla coca, dal pacchetto di patatine alla targhetta del primo body preso ad Ale) ci serviranno per tenere ancora più stretti i ricordi. Siamo certi, però, che ogni singolo istante rimarrà sempre con noi perché, nonostante le non poche difficoltà, abbiamo vissuto ogni istante qui come un momento indimenticabile.

Dopo più di due mesi trascorsi qui (alla fine saranno 66 giorni) è inevitabile sentirsi come a casa propria e la nostalgia si sta già facendo avanti.

Ci sentiamo lusingati della fortuna che abbiamo avuto e saremo eternamente grati a questo Paese che ci ha fatto il dono più grande che si possa immaginare.

Promettiamo di averne per sempre la massima cura e di amare eternamente il luogo in cui sono nati i nostri sogni.


Besos,
I Longo













sabato 1 settembre 2012

Motori freddolosi


Per chi non l’avesse ancora capito, questo non è il nostro primo viaggio in Colombia. Sei anni fa siamo stati a Bogotà trentacinque giorni per venire a prendere Daniela.

Allora il tempo era stato migliore, abbiamo foto che ci ritraggono addirittura in maniche corte (cosa mai successa in questi cinquanta giorni di permanenza nella capitale), la niña era una sola e la potevi scarrozzare dove volevi, l’economia italiana era un po’ più florida e di conseguenza anche le nostre finanze; insomma quella volta avevamo girato un bel po'. Durante questo soggiorno, quindi, abbiamo vissuto di rendita e abbiamo deciso di toccare tappe non ancora esplorate.

La conseguenza è stata che non abbiamo visitato i luoghi più turistici in quanto già visti da noi e non di grande interesse per un infante e una bimba che pensa quasi esclusivamente al parcogiochi. Per intendersi: niente Museo dell’Oro, niente pinacoteca di Botero, niente Catedral del Sal e, credevamo, niente Candelaria, il cuore storico di Bogotà. In compenso abbiamo visto cose a noi sconosciute e così pensiamo di aver concluso il puzzle di offerte turistiche.

Ma dato che "nunca dir nunca", stamattina ci siamo trovati inaspettatamente inghiottiti dalla vita del centro.

In realtà ci siamo stati costretti. Per carità, felicemente costretti perché ce la ricordavamo come una bellissima zona e così ci è parsa anche stamattina.

Il motivo è questo: quindici giorni fa avevamo ordinato dei prodotti artigianali nel grande negozio che si trova vicino al Portal, meta di tutti i turisti e di tutti i genitori adottivi che bazzicano da questa parti. Allora ci era stato garantito che per giovedì 30 agosto tutto sarebbe stato pronto.

Ieri era venerdì 31 e col piffero che abbiamo trovato quanto ordinato.

L’alternativa era andare a visitare i negozi di artigianato del centro.

Per andarci abbiamo chiamato il buon vecchio Ignacio che come al solito si è messo al nostro completo servizio per accompagnarci dove volevamo (e te credo! Con quello che si fa pagare!).
 
L’unica cosa diversa rispetto al solito era el carro, la sua macchina. Il mezzo era sempre quello ma fin da quando siamo saliti abbiamo avuto il sospetto che non sarebbe mai arrivata a destinazione. In novanta minuti di viaggio, tra andata e ritorno, si sarà spenta almeno dieci volte e vi assicuriamo che fermarsi nel bel mezzo di un incrocio bogotano non è la cosa più salutare che possa capitare!
 
Ignacio, todo bien?” – “Sì, sì, no te preocupe” – “Ma el carro tiene un problema?” – “No señor! El motor esta un poquito frio” – “Ah, claro Ignacio, ma fuera estan almanco dieciocho grados, es como in primavera in Italia. Que susedaria se esto carro fusse in Italia???” – “Justo! Es la buena suerte que non esta in Italia!”. Così abbiamo scoperto che le macchine colombiane soffrono il freddo e che è meglio evitare di fare gite in un giorno coperto perché altrimenti si rischia di non tornare più indietro!

Ed eccoci, dicevamo, inghiottiti nella Candelaria. Splendido agglomerato di palazzi e casette coloniali dai mille colori. Molte di queste sono state recuperate e sono una meraviglia per gli occhi. Sfortunatamente non si possono visitare al loro interno ma basta vederle dall’esterno per farsi un’idea dei patios che vi si trovano.

Il monumento più importante e imponente è senza dubbio la Cattedrale il cui altare è dedicato a tal Nuestra Señora del Topo, ma tranquilli, qui il roditore si chiama rata quindi probabilmente si tratta di qualcosa di più sacro.

La Candelaria si può visitare in lungo e largo, si tratta di una decina di calle al massimo, ma ci sono zone assolutamente proibite: una è la parte sur dove inizia, appunto, il sur di Bogotà, vivamente sconsigliato a tutti , tranne a quelli che vivono al sur (!); l’altra è una calle apparentemente uguale alle altre se non fosse per un apparato militare che forse il giorno dell’indipendenza si vede così al completo. Ci hanno spiegato che ci sta il Palazzo presidenziale. Se a Bogotà ogni villino ha la sua guardia privata, vi lasciamo immaginare come può essere blindata quella zona. E noi comunque una sbirciatina oltre la cortina militare l’abbiamo data, sia mai che vedi uscire il Monti colombiano.

Alla fine quelle cose che cercavamo non le abbiamo trovate nemmeno qui ma è sicuramente valsa la pena di tornarci nonostante il commento della Dani: “Allora piccola, ti piace Bogotà? Adesso che siamo stati qui possiamo dire di aver visto tutto quello che c’era da vedere…” – “Sì, sì, bella però devo dirvi una cosa: io la Colombia me l’aspettavo più rilassante!”. Ma va?!?

Besos,
I Longo