lunedì 3 settembre 2012

E infine... grazie!


Le valigie sono chiuse, i biglietti sono stampati, le lacrime stanno cominciando a scendere ed è quindi giunto il momento di fare i doverosi ringraziamenti.

Dopo 66 giorni trascorsi qui il primo pensiero va alla Colombia. Ne abbiamo già parlato ieri ma ci sembra giusto ripetere la nostra enorme gratitudine verso il Paese che ci ha donato i nostri figli. Grazie in eterno. Noi di sicuro non saremmo stati in grado di fare meglio. Speriamo di rivederci presto.

Grazie ai colombiani in generale.

In particolare vorremmo ripetere il nostro grazie più grande a coloro che si sono presi cura di Alexander fino al 5 luglio. Se è un bambino sereno lo dobbiamo anche a loro.

Grazie a tutti quelli che ci hanno accompagnato durante la nostra avventura qui: las abogadas Olga, Andrea e Haydeè; l’equipo de El Portal, Claudia, Carmenza, Patricia ed Edoardo; gli autisti e i tuttofare. Grazie a loro abbiamo capito che i colombiani sono persone eccezionali.

Grazie alle famiglie che abbiamo incontrato qui e che ci hanno arricchito tantissimo con le loro vite. Famiglie che hanno accolto uno o più bambini facendoli diventare finalmente “figli”. Poter condividere gioie e dolori con tutti loro è stata forse l’esperienza più bella fatta qui.

Grazie a chi ci ha supportato dall’Italia.

I nostri genitori che stando lontani hanno vissuto ogni nostro singolo giorno amplificando le emozioni e anche le preoccupazioni. Grazie di esserci stati sempre al di là del filo. Con loro ringraziamo anche i nostri fratelli e i nipotini che ci hanno sempre fatto iniziare le giornate col sorriso.

E grazie a tutte le persone che in queste settimane sono state alle spalle dei nostri genitori. Non vi abbiamo visti né sentiti ma sentivamo la vostra vicinanza nel racconto dei nonni.

Grazie infinite ai nostri followers. Come abbiamo già detto ad alcuni di voi, il blog era nato per tenere a bada le ansie dei nonni e per poter caricare qualche foto senza intasare le caselle di posta elettronica. Fin da subito, però, quel diario quotidiano si è rivelato soprattutto un modo per sentire vicinissime anche le persone più lontane. In due mesi abbiamo sfiorato le 9000 visite e abbiamo scoperto di avere lettori sparsi in tutto il mondo (Russia, Germania, Stati Uniti?!?). Per dirla tutta ‘sta cosa ci spaventa un po’, ma se leggerci è servito per trasmettere almeno un po’ della nostra felicità e per svelare la magia dell’adozione, non possiamo che esserne orgogliosi.

Infine, grazie ad Ai.Bi. e al suo staff, italiano e colombiano, per tutto quello che fa per l’infanzia abbandonata. Noi ci prendiamo cura di Daniela e di Alexander ma ci sono milioni di bambini in tutto il mondo in attesa di diventare “figli”. Ai.Bi. lavora quotidianamente per loro e noi siamo orgogliosi di sentirci parte di questa associazione.

Per questo motivo ci sentiamo in dovere di divulgare il luogo dove ciascuno di voi potrà trovare un modo per aiutare questi bambini. Un piccolo aiuto moltiplicato per tante persone volenterose può fare miracoli.

Vi assicuriamo che non riceviamo alcun compenso da Ai.Bi. per fare “propaganda”, anzi! Possiamo garantire che il nostro contributo l’abbiamo già dato! ;-)


www.aibi.it
 

Grazie di cuore a tutti voi per questa meravigliosa avventura che avete voluto condividere con noi.

Anzi! La vera avventura inizia domani, nel momento in cui toccheremo il suolo di casa nostra.

 
Besos,
I Longo

 

Nota di servizio per i nonni.
Ecco il piano del nostro volo:
partenza da Bogotà, aeroporto Eldorado, martedì 4 settembre, ore 17.35 (ora locale)
arrivo a Parigi, aeroporto C. De Gaulles, ore 11.15
partenza per Verona ore 15.35
arrivo a Verona, aeroporto V. Catullo, mercoledì 5 settembre ore 17.05
Non vediamo l’ora di riabbracciarvi!!!


domenica 2 settembre 2012

Colombia, croce e delizia


Ne abbiamo dette di cotte e di crude, ce ne rendiamo conto.

Spesso l’abbiamo deriso e a volte ce ne siamo lamentati pesantemente. Ma era solamente per il bisogno di sdrammatizzare, di riderci sopra, di vedere il lato comico di un’esperienza per certi versi fin troppo seria.

È stato il nostro modo di dichiarare il nostro amore per questo Paese, patria dei nostri sogni e terra in cui, al di là di ogni previsione, fondano le radici di metà della nostra famiglia.

Il rammarico è di non aver completato il quadro che abbiamo cercato di dipingere con i nostri post e di levare le tende quando ancora mancavano ancora tantissimi argomenti da trattare come per esempio i mezzi di trasporto su cui abbiamo raccolto un portfolio di tutto rispetto, la meravigliosa architettura moderna dei palazzi nella zona nord, la frutta di cui abbiamo immagini dai mille colori, i postres, i mini-dolcetti di fine pasto che tanto ci hanno fatto ridere e a volte inorridire. E poi le persone: ce ne sarebbe da dire per un altro paio di mesi. A volte il ritratto della cordialità (los hombres) a volte proprio st....e (las mujeres).

Non ce ne vogliano i colombiani (soprattutto quelli che conosciamo!) ma questo è stato veramente difficile da comprendere: come si possa convivere con così tante contraddizioni. Si fanno in quattro per trovarti un posto sul banco in chiesa e poi non c’è verso di uscire dall’edificio con il passeggino perché nessuno si degna di farti passare.

Luca è stato sul punto di litigare di brutto almeno con tre donne in tre diverse situazioni mentre faceva la coda alla cassa del supermercato. La mamma ha urlato tre parolacce di quelle brutte a un automobilista che, nella totale indifferenza, stava tirando sotto lei, la niña y el bebè.

Per carità, queste cose succedono anche in Italia, anzi! Ma nel Paese che hai deciso di amare nonostante tutto, a volte è difficile mandare giù la mancanza di considerazione. Se dalla mia faccia è più che evidente che non ho capito una parola di quello che mi hai detto, perché ti ostini a parlare ancora più veloce???

E poi ci sono le persone squisite che sono la maggiorissima parte e tra cui c’è anche qualche donna (J). I colombiani sono dolci e galanti, discreti e molto fieri.

Una cosa che gli invidiamo enormemente è l’attaccamento alla propria patria. Noi abbiamo dimenticato da troppo tempo cosa significhi essere fieri del Paese in cui siamo nati, mentre qui dappertutto si trova scritto “fiero di essere colombiano” oppure “hecho en Colombia” (fatto in Colombia) e le bandiere si sprecano. Gli uomini che lustrano le scarpe per strada hanno l’appoggiapiedi colorato di giallo, rosso e blu. Le strutture di ogni parco giochi sono colorate delle stesse tinte e al mercado de las pulgas girano cani vestiti col tricolore nazionale.

Ci spiace tantissimo di aver visitato una minima parte del territorio colombiano. Per farlo ci vorrebbe molto più tempo, un diverso equipaggiamento (leggi “meno figli”!) e una carta di credito con un plafond molto più alto dato che in alcune zone è davvero molto costoso (oltre che pericoloso) “avventurarsi”. Anche se rispetto a sei anni fa ci pare di aver notato una diminuzione delle misure di sicurezza, ci dicono che tra Farc, guerriglia e narcotraffico il livello di pericolosità è ancora molto alto (solo la settimana scorsa sono morte sei persone, tra cui due bambini, per l’esplosione di un ordigno piazzato nel baule di un taxi). Alle famiglie adottive viene intimato di non fare nulla che possa mettere grandi e piccoli in situazioni pericolose e noi non abbiamo potuto fare altro che ascoltare questo "consiglio".

La sensazione di perdersi qualcosa, però, rimane ed è triste che un Paese così bello venga trattato in questo modo.

Le migliaia di fotografie scattate, i souvenir e le decine di oggetti conservati scrupolosamente (dai biglietti del cinema alle bustine del te alla coca, dal pacchetto di patatine alla targhetta del primo body preso ad Ale) ci serviranno per tenere ancora più stretti i ricordi. Siamo certi, però, che ogni singolo istante rimarrà sempre con noi perché, nonostante le non poche difficoltà, abbiamo vissuto ogni istante qui come un momento indimenticabile.

Dopo più di due mesi trascorsi qui (alla fine saranno 66 giorni) è inevitabile sentirsi come a casa propria e la nostalgia si sta già facendo avanti.

Ci sentiamo lusingati della fortuna che abbiamo avuto e saremo eternamente grati a questo Paese che ci ha fatto il dono più grande che si possa immaginare.

Promettiamo di averne per sempre la massima cura e di amare eternamente il luogo in cui sono nati i nostri sogni.


Besos,
I Longo













sabato 1 settembre 2012

Motori freddolosi


Per chi non l’avesse ancora capito, questo non è il nostro primo viaggio in Colombia. Sei anni fa siamo stati a Bogotà trentacinque giorni per venire a prendere Daniela.

Allora il tempo era stato migliore, abbiamo foto che ci ritraggono addirittura in maniche corte (cosa mai successa in questi cinquanta giorni di permanenza nella capitale), la niña era una sola e la potevi scarrozzare dove volevi, l’economia italiana era un po’ più florida e di conseguenza anche le nostre finanze; insomma quella volta avevamo girato un bel po'. Durante questo soggiorno, quindi, abbiamo vissuto di rendita e abbiamo deciso di toccare tappe non ancora esplorate.

La conseguenza è stata che non abbiamo visitato i luoghi più turistici in quanto già visti da noi e non di grande interesse per un infante e una bimba che pensa quasi esclusivamente al parcogiochi. Per intendersi: niente Museo dell’Oro, niente pinacoteca di Botero, niente Catedral del Sal e, credevamo, niente Candelaria, il cuore storico di Bogotà. In compenso abbiamo visto cose a noi sconosciute e così pensiamo di aver concluso il puzzle di offerte turistiche.

Ma dato che "nunca dir nunca", stamattina ci siamo trovati inaspettatamente inghiottiti dalla vita del centro.

In realtà ci siamo stati costretti. Per carità, felicemente costretti perché ce la ricordavamo come una bellissima zona e così ci è parsa anche stamattina.

Il motivo è questo: quindici giorni fa avevamo ordinato dei prodotti artigianali nel grande negozio che si trova vicino al Portal, meta di tutti i turisti e di tutti i genitori adottivi che bazzicano da questa parti. Allora ci era stato garantito che per giovedì 30 agosto tutto sarebbe stato pronto.

Ieri era venerdì 31 e col piffero che abbiamo trovato quanto ordinato.

L’alternativa era andare a visitare i negozi di artigianato del centro.

Per andarci abbiamo chiamato il buon vecchio Ignacio che come al solito si è messo al nostro completo servizio per accompagnarci dove volevamo (e te credo! Con quello che si fa pagare!).
 
L’unica cosa diversa rispetto al solito era el carro, la sua macchina. Il mezzo era sempre quello ma fin da quando siamo saliti abbiamo avuto il sospetto che non sarebbe mai arrivata a destinazione. In novanta minuti di viaggio, tra andata e ritorno, si sarà spenta almeno dieci volte e vi assicuriamo che fermarsi nel bel mezzo di un incrocio bogotano non è la cosa più salutare che possa capitare!
 
Ignacio, todo bien?” – “Sì, sì, no te preocupe” – “Ma el carro tiene un problema?” – “No señor! El motor esta un poquito frio” – “Ah, claro Ignacio, ma fuera estan almanco dieciocho grados, es como in primavera in Italia. Que susedaria se esto carro fusse in Italia???” – “Justo! Es la buena suerte que non esta in Italia!”. Così abbiamo scoperto che le macchine colombiane soffrono il freddo e che è meglio evitare di fare gite in un giorno coperto perché altrimenti si rischia di non tornare più indietro!

Ed eccoci, dicevamo, inghiottiti nella Candelaria. Splendido agglomerato di palazzi e casette coloniali dai mille colori. Molte di queste sono state recuperate e sono una meraviglia per gli occhi. Sfortunatamente non si possono visitare al loro interno ma basta vederle dall’esterno per farsi un’idea dei patios che vi si trovano.

Il monumento più importante e imponente è senza dubbio la Cattedrale il cui altare è dedicato a tal Nuestra Señora del Topo, ma tranquilli, qui il roditore si chiama rata quindi probabilmente si tratta di qualcosa di più sacro.

La Candelaria si può visitare in lungo e largo, si tratta di una decina di calle al massimo, ma ci sono zone assolutamente proibite: una è la parte sur dove inizia, appunto, il sur di Bogotà, vivamente sconsigliato a tutti , tranne a quelli che vivono al sur (!); l’altra è una calle apparentemente uguale alle altre se non fosse per un apparato militare che forse il giorno dell’indipendenza si vede così al completo. Ci hanno spiegato che ci sta il Palazzo presidenziale. Se a Bogotà ogni villino ha la sua guardia privata, vi lasciamo immaginare come può essere blindata quella zona. E noi comunque una sbirciatina oltre la cortina militare l’abbiamo data, sia mai che vedi uscire il Monti colombiano.

Alla fine quelle cose che cercavamo non le abbiamo trovate nemmeno qui ma è sicuramente valsa la pena di tornarci nonostante il commento della Dani: “Allora piccola, ti piace Bogotà? Adesso che siamo stati qui possiamo dire di aver visto tutto quello che c’era da vedere…” – “Sì, sì, bella però devo dirvi una cosa: io la Colombia me l’aspettavo più rilassante!”. Ma va?!?

Besos,
I Longo









venerdì 31 agosto 2012

Tiziano chi?


Purtroppo è successo.

Luca, con i suoi sogni improbabili mi aveva quasi illuso e io ci sono cascata. Ho calcolato che con quel fondo di struccante sarei arrivata a metà settimana, quando secondo i calcoli del guerriero saremmo partiti, e oggi che è venerdì sono rimasta fregata.

Risultato: oggi siamo dovuti tornare al supermercato per comprare le salviette. Lo so che non funzionano bene come i dischetti e la crema ma avete già provato a mettere in stiva i tubetti? Quando, una volta a terra, li apri, l’intero contenuto si riversa all’esterno senza che tu possa fare niente. Una lava bianca incontenibile. Avrei rischiato di portare a casa una confezione semi-nuova per vederla finire tutta in un lampo nel lavandino. Quindi, vada per le salviette.

Quindi andiamo al supermercato e quando ormai siamo in prossimità del reparto “cosmesi” ci blocchiamo di colpo (tranne la Dani che non essendo capace di starci vicino anche nei luoghi più affollati era già praticamente alle casse).

Io e Luca ci guardiamo come per dire “senti anche tu quello che sento io?” ma in questo caso non ci si riferiva ai nostri sentimenti (anche perché altrimenti avremmo tenuto un certo riserbo!). Insomma “Stai ascoltando la stessa musica o ce l’ho solamente io nel mio cervello tanta è la nostalgia di casa?” – “No, no! Questa volta la nostalgia non c’entra niente. La canzone è inconfondibile. È proprio quella!” – “Cara, non è che invece che al supermercato ci troviamo sul pullman della gita sulla neve organizzata dalla parrocchia?” – “Ma no! Ecco, vedi, quelle sono salviette struccanti. Non c’è dubbio: siamo in Colombia, a Bogotà, fino a prova contraria, per quanto ce l’abbiano messa tutta per farci andare fuori di testa, siamo ancora abbastanza lucidi, e in questo momento siamo in un supermercato della maison Carulla” – “E che cacchio ci fa in un supermercato Carulla la canzone LA ME MOROSA VECIA???”.

Riuscite a immaginare la scena? Noi che guardiamo il soffitto da dove sembra che le note arrivino e che ci mettiamo a cantare “La me moro-osa vecia la li la la, l’ha messo su-u botega la li la la, de tuto la vendeva, de tuto la vendeva. La me moro-osa vecia la li la la, la tegno de-riserva la li la la, ecc ecc… fino al polenta e ba-acalà e perché non m’a-ami più, Rosina!” con le señoras colombianas che attorno a noi facevano la spesa ignare di ciò che stava accadendo.

Se in ascolto c’è qualche amico che era con noi quella volta, è come la canzone di Pupo nel baretto sperduto in non so più quale paesino in Romania. Ve lo ricordate???

Il bello è che durante il tragitto fatto domenica per andare a Villa de Leyva, Luca, oltre a fare il verso della pecora e a scambiare un cimitero per un centro congressi, si è avventurato a parlare con Ignacio anche di musica.

Ignacio, quale es el cantante italiano mas famoso aqui?” – “Pavarotti” – “Ehm. Ma Pavarotti esta muy muerto. Uno vivo?” – “Ramazzotti es mas duro (non gli abbiamo chiesto spiegazioni sul significato, non ne abbiamo avuto il coraggio. Ndr)” – “Y Laura Pausini?” – “Si, si esta bien Laura tambien” – “Y Tiziano Ferro?” – “Tiziano chi?”.

Eh, caro Ignacio, potevi anche dircelo che nella top ten colombiana ci stava anche “La me morosa vecia”.

Ti assicuro che avremmo capito benissimo che è mille volte preferibile a Tiziano Ferro!
 

Besos,
I Longo

 

Post Scriptum telegrafico: stamattina abbiamo portato Alexander da Norberto para cortar el pelo. Siamo certi che se l’avessimo scotennato avrebbe urlato meno, ma alla fine il risultato ci piace moltissimo!

Per quelli che amano approfondire, ecco il link in cui vedere Norberto (abbiamo scoperto che esiste davvero). La sganasciata è assicurata: http://www.norbertopeluqueria.com/norberto.html)
 




 

giovedì 30 agosto 2012

Gracias mamita


Nel giorno in cui abbiamo finalmente ottenuto il visto per far entrare Alexander in Italia, cioè l’ultimissima incombenza prima di partire, abbiamo ricevuto la visita di Andrea, l’abogada aiutante di Olga, e di Joanna, la psicologa di Aibi che ha studiato il caso di Ale.

La loro visita non è giunta inaspettata, anzi, a dire la verità era stata annunciata un paio di settimane fa ma finora non se n’era fatto nulla. E quindi erano due settimane che fremevamo in attesa dell’incontro, non tanto per l’incontro in sé (beh, per Luca rivedere Andrea poteva già essere un buon motivo per fremere!), ma perché ci avevano preannunciato che la famiglia con cui Ale ha vissuto fino a due mesi fa ci aveva preparato un dvd di immagini del periodo passato insieme.

Chi è un genitore adottivo sa di cosa stiamo parlando. Se incontri tuo figlio quando lui ha un anno ti sei perso un anno della sua vita. Al di là di poche informazioni che ti danno, non sai com’era, cosa faceva, con chi stava, dove si trovava ecc. Se incontri tuo figlio quando ha cinque anni ti sei perso cinque anni della sua vita e difficilmente potrai recuperarli.

È vero, quel che conta sono gli anni che passi insieme a lui. Più del passato in questo caso contano il presente e soprattutto il futuro.

Il compito del genitore adottivo è quello di rendere saldo ciò che di bello viene dal passato cercando di far superare nel modo più indolore possibile ciò che invece è negativo.

Resta però il fatto che di solito si hanno pochissime informazioni su ciò che i nostri figli sono stati in nostra assenza.

Noi oggi abbiamo avuto la fortuna di colmare un po’ il vuoto che abbiamo nei confronti dei primi tredici mesi di Alexander.

La nostra è una grande fortuna perché Alexander è stato fortunato a sua volta. E ciò è evidente dalle immagini contenute in quel dvd.

Foto e video ci mostrano un Alexander piccolissimo (e bruttino, dobbiamo dirlo!) amato e coccolato al di là di ogni aspettativa.

Nel vedere che in famiglia c’erano altri bimbi più grandi che lo spupazzavano, la Dani ha dato segni di comprensibile gelosia e ha cominciato a dire “Tanto adesso è tutto mio!” – “Beh, non era loro fratello” – “Io sono più bella di quel bambino lì, vero?”. Beata innocenza!

I sentimenti di mamma e papà invece sono di tipo diverso e si possono riassumere nel termine “riconoscenza”.

Riconoscenza eterna a quelle persone che hanno deciso di prendersi cura di un bimbo senza che fosse loro, che hanno sicuramente fatto di tutto per dargli il maggior affetto possibile, il più vicino a quello di una mamma e di un papà pur senza esserlo. Riconoscenza perché fin da subito è stato evidente che ce l’hanno messa proprio tutta senza che nessuno glielo chiedesse.

Qui infatti, le famiglie affidatarie ricevono un compenso dallo Stato per occuparsi dei piccoli in attesa di una famiglia “vera” e spesso capita che questo venga preso come un vero e proprio lavoro investendo il minimo dello sforzo.

Alexander invece ha ricevuto amore fin dal suo primo anno di vita. E non è cosa da poco, visto e considerato che milioni di bimbi devono aspettare ben di più per averne anche solo una parvenza.

Dunque, grazie. Grazie “mamita” che ti sei presa cura del nostro piccolo pur sapendo che un giorno l’avresti visto andar via per sempre. Le foto più commoventi sono quelle in cui Ale viene preparato per andare a Neiva, dove poche ore dopo avrebbe incontrato noi. Gli ultimi momenti da “non figlio” di nostro figlio.

Prima che il miracolo si compisse.

 
Besos,
I Longo




 

mercoledì 29 agosto 2012

Perle


In quasi due mesi di permanenza in Colombia abbiamo avuto modo, nostro malgrado, di conoscere diverse famiglie adottive provenienti da vari paesi d’Europa.

Tralasciamo per ovvie ragioni linguistiche quelle di nazionalità spagnola, che naturalmente non hanno alcun tipo di problema a interagire con i loro “nuovi” figli o con le tante persone che inevitabilmente incontri per portare a termine la procedura adottiva.
 
Su tutte spiccano per ignoranza, nel senso buono del termine, cioè della lingua spagnola, i francesi, la cui conoscenza dell’idioma locale è di fatto nulla. E questo perché i cugini transalpini non si applicano nel modo più assoluto e per loro anche un semplice “buenos dias” o “gracias” è un qualcosa di assolutamente irraggiungibile.

Al secondo posto si trovano i tedeschi. La durezza della loro lingua mal si sposa con la dolcezza e il senso di trascinamento dello spagnolo-colombiano e ogni cosa che dicono sembra un ordine. Al terzo si classificano gli americani, i quali credono che tutti, in qualunque parte del mondo, sappiano l’inglese e si ostinano a parlarlo anche con i loro figli convinti che perché magari hanno fatto uno o due anni di scuola devono saperlo a ogni costo. Ma spiegaglielo tu che uno o due anni di scuola qui, non corrisponde a un biennio di Harvard.

Agli italiani, invece, la buona volontà certo non manca; i risultati, però, sono spesso discutibili, soprattutto perché molti sono imperterriti sostenitori del luogo comune che per parlare spagnolo basta semplicemente aggiungere alle parole la “s” finale e il gioco è fatto.

Le perle, quindi, si sprecano, a danno soprattutto dei figli che tra il perplesso e l’incredulo si domandano che cosa mai stia dicendo mamma o che diavolo di lingua parla papà.

Qui di seguito riportiamo alcune delle frasi, degne di Totò, sentite in questi nostri due mesi in Colombia.

"Recuerda: despues che hai tomato la clave, regresala a papà!"

"Te gusta la comida?" - "Sì, es muy bonita" (bonita? Ma mamma bonita non si dice delle cose da mangiare, per queste si dice rica. Bonita es una mujer!).

"Sebastian, porquè non coma, como, come, comi?" Insomma come diavolo si dice “Perché non mangi?"

"Carmenza, se puede un poquito de Harrods?" - "De que, seňora?" - "Di riso!" -"Ah, de arròz…"

"Seňora, le gustan papas?" - "Sì, muchos, papas e tambien mamas… " - "Seňora, papas son le patate!?!"

"Seňora, el su nombre? " - "No, no, niente nombre, soy solita…" - "Seňora, no hombre, nombre!"
 
"Carmenza, me regala una cabeza?" - "Una cabeza?!?" - "Sì, una birra..." - "Ah, una cerveza!"
 
Una famiglia svizzera al ristorante dopo aver letto sul menù “perro caliente”: “De che raza es el perro?” Risposta: “De che raza es el perro? Perro caliente es un hot dog!”.

 
Naturalmente, per conservare un po’ di dignità abbiamo evitato di trascrivere le innumerevoli gaffe capitate a noi. Tanto ormai è chiaro a tutti che il nostro spagnolo è al livello minimo di sopravvivenza!
 

Besos,
I Longo

 

PS: dopo aver scritto le cavolate qui sopra, a fine giornata è arrivata una notizia che ci ha lasciato la morte nel cuore.
Vi ricordate il tribunale numero 4 di Neiva? Quello che era meglio evitare? Ecco, quel giudice oggi ha rifiutato di dichiarare J. figlia di B. e N. I motivi non sono chiari ma le conseguenze sì: tutto da rifare e panico alle stelle.
Sembra che quel giudice non veda di buon occhio l’istituzione dell’adozione e che faccia di tutto per ostacolare le coppie. Oggi piangevamo tutti insieme a questi genitori che nel cuore sono a tutti gli effetti mamma e papà di una bambolina di un anno e mezzo ma che burocraticamente non lo sono (ancora). Davanti a loro ci sono diverse strade: rinunciare alla piccola (no comment), fare ricorso (cioè come minimo altri sei mesi di permanenza in Colombia), ritirare la domanda e ripresentarla sperando di capitare in un altro tribunale (cioè ricominciare tutto daccapo sperando nel buon cuore del nuovo giudice, il che è tutto dire!).
Oltre a tutto ciò che la situazione comporta, c’è da pensare al primo figlio di cinque anni, che di sicuro farà molta fatica a capire la situazione, e alla vita che comunque deve andare avanti. Ed è così che B. e N. devono anche prendere la triste decisione di far tornare un genitore col primogenito in Italia, lasciando l’altro qui con la piccola. Oggi J., che per quanto piccola ha intuito l’angoscia dei suoi genitori, non si staccava mai dalla mamma.
Abbiamo suggerito di scattarle una foto e di mandarla a quel figlio di buona donna colombiana del giudice. Forse capirebbe veramente cos’è questa cosa chiamata “adozione”.

martedì 28 agosto 2012

La forma dei sogni

Al di là di ogni previsione, siamo riusciti a festeggiare il nostro anniversario in Colombia.

Ovviamente per molti versi avremmo voluto essere in un posto romantico, magari sul Lago, o a casa nostra a preparare una cena a base di pesce, ma forse è stato un segno che dovessimo festeggiare qui dove abbiamo realizzato i nostri sogni più grandi.

E così abbiamo dovuto pensare a come passare una giornata così importante.

La più creativa è stata la Dani: “Ah! Oggi è un giorno importante?” – “Sì tesoro” – “Allora posso mettermi il rossetto?!”.

Anzi, a ben pensare il più originale è stato Luca che ha vinto le proprie remore e ha deciso (finalmente!) di andare da Norberto, famoso parrucchiere di Bogotà. Per dare un’idea della sua fama e della gente che lo frequenta basta passare davanti al parquedero riservato ai suoi clienti. A parte le macchine che vi si trovano, diciamo solamente che oggi a vigilare c’erano due soldati con tanto di mitra.

Del señor Norberto non sappiamo assolutamente nulla (nemmeno se esiste davvero) tranne che il suo nome campeggia su un palazzo molto chiccoso di tre piani, interamente occupato da saloni di bellezza per donne, uomini e bambini. In quel luogo ci lavorano ben 250 (duecentocinquanta!) ragazzi che hanno tra le più svariate mansioni: parrucchieri naturalmente, lavateste, spazzatrici, truccatori, manicuristi, preparatori di caffè, intrattenitori e comparse. Per uno che lavora, infatti, ce ne sono almeno tre che se ne stanno seduti ad aspettare che qualcuno abbia bisogno di loro. Il ragazzo che ha servito Luca gli ha chiesto “Una struttura così in Italia sarebbe grande o piccola?” – “Beh, considerando che il negozio della mia parrucchiera è grande come lo sgabuzzino dove voi mettete le scope…”

Luca si è fatto convincere ad entrarci solamente per due motivi: la palazzina si trova a pochi metri dal Portal e la lunghezza dei suoi capelli si stava facendo ogni giorno più ingestibile. E così stamattina si è deciso e ha dovuto ammettere di aver fatto la mossa giusta. Anche la Dani e la mamma ringraziano per l’ottima scelta: la Dani perché così si è fatta più di un giro sulle poltrone vibranti destinate ai figli irrequieti dei clienti e la mamma perché si è vista servire un ottimo tè finché aspettava paziente. Per la verità si è pentita un po’ di essere stata troppo impulsiva nel rispondere “no” alla raffica di domande “quere una manicure, pedicure, taglio, tinta, massaggio, trucco…”, della serie “la vediamo un tantino sciupata e secondo noi avrebbe bisogno di tutto questo per poter cominciare a essere presentabile”.

E così Luca è uscito da quel covo di modaioli con un bel taglio nuovo nuovo, pronto per la nostra cenetta romantica.

Oddio, romantica…!

Per la verità è stata un cenetta collettiva che di romantico aveva gran poco ma che ci ha dato molte soddisfazioni.

La cosa è iniziata così: ieri sera a cena abbiamo annunciato alle altre famiglie che oggi ci sarebbe stata la torta per festeggiare i nostri tredici anni. L’idea era quella di comprare un dolce ma a dirla tutta i dolci colombiani fanno proprio schifo. Troppo dolci, troppo colorati, troppo sciropposi, insomma a volte davvero immangiabili. E così è nata l’idea di arrangiarci e di tentare una produzione in collaborazione tra le mamme presenti in questo momento: veronese, vigevanese e vicentina, nell’ordine, cinquanta, quaranta e trenta giorni di permanenza in Colombia, giorno più giorno meno, giusto per fare una classifica di stress psicologico. Insomma, tutte eravamo alla disperata ricerca di qualcosa da fare per passare un pomeriggio diverso e abbiamo deciso di buttarci sul training culinario.

Dalla torta al risotto il passo è stato breve. Ed è così che ci siamo ritrovate a passare più di quattro ore in cucina per fare un risotto alle zucchine e una crostata alla frutta per quindici persone.

Lo ammetto subito così non creo aspettative inutili: entrambi avrebbero avuto ampi margini di miglioramento, anzi, il riso era quasi immangiabile e la torta era tendente al secco incendiato, però il pomeriggio è stato bellissimo e la cena ha portato non poco umorismo tra i presenti.

La parte più bella è stata la lunga chiacchierata in un misto di italiano e spagnolo tra noi e Carmenza. La parte più drammatica quando Carmenza ha tirato fuori un libro illustrato di ricette italiane. Quando è arrivata alle trenette al pesto avevamo le lacrime agli occhi. L’estate intera è passata senza che potessimo mangiarle nemmeno una volta! È una cosa atroce!

Insomma, oggi, il romanticismo era davvero alle stelle (!) e nessuno ha sentito la mancanza del Lago o della cena di pesce.

Oddio, della cena di pesce forse sì, ma non del Lago. È vero:  come per la metà dei veronesi tanti dei nostri sogni sono nati durante le mille passeggiate sul Garda, ma è qui in Colombia che hanno preso forma. La meravigliosa forma dei nostri figli.

 
Besos,
I Longo